08/07/2015

Aborto tardivo – La legge 194 e i piccoli sopravvissuti

Proponiamo ai nostri lettori questo articolo che è stato pubblicato sul mensile Notizie ProVita (settembre 2013): meritava di essere letto e merita di non essere dimenticato.

Soprattutto oggi che è stata presentata una petizione al Consiglio d’Europa (che dovrebbe salvaguardare i diritti umani) affinché sia riconosciuto il diritto dei piccoli sopravvissuti agli aborti tardivi ad essere curati e se necessario accompagnati ad una morte dignitosa con adeguate cure palliative. 

A nessuno interessa la sorte dei bambini che sopravvivono all’ aborto: i giudici e i legislatori si preoccupano solo di evitare agli operatori sanitari coinvolti ogni responsabilità.

Sui mezzi d’informazione una congiura del silenzio vuole impedire che la verità sui bambini uccisi dall’ aborto legale torni a essere percepita per quello che è: un “genocidio censurato”, come l’ha definito Antonio Socci. Eppure periodicamente emergono episodi terribili, che è impossibile mettere a tacere e che mostrano la vera realtà dell’ aborto. La storia del dottor Gosnell, il medico americano specializzato nella tecnica “a nascita parziale”, definita “efficace” da Wikipedia in caso di aborti tardivi è una di quelle. Esempi raccapriccianti di disprezzo per la vita umana la stampa di casa nostra tende a presentarli come casi estremi, un’aberrazione, una forzatura della legislazione abortista: cose che non potrebbero succedere in Italia – in USA ne vengono fuori di nuove ogni giorno – ma in Italia, dove il sistema sanitario è sottratto al mercato e gestito dalla Sanità Pubblica, non può succedere... Ne siamo veramente sicuri?

In realtà la legge 194 è tanto ipocrita quanto quella voluta da Clinton basata sulla decisione della Corte Costituzionale federale di definire “persona di fronte alla legge” solo il bambino completamente uscito dal ventre materno. Per la Corte Costituzionale USA, finché il bambino non è “fuori” è possibile ucciderlo, dopo bisogna assisterlo.

La nostra legge dice in sostanza la stessa cosa: si può infatti “interrompere la gravidanza” (articoli 5 e 6), praticamente senza limitazioni; ma si deve “adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita” di un bambino abortito “quando sussiste la possibilità di vita autonoma” (articolo 7 comma 4). In pratica, se il bambino, una volta uscito dal ventre materno, è vitale, dovrebbe essere assistito, curato, rianimato. Ma lo fanno? Il caso di Firenze, nel 2007 e di Rossano Calabro, nel 2010 sono stati veramente due casi isolati?

Perché alcuni medici in Italia praticano un’iniezione intracardiaca per uccidere il feto, prima dell’aborto? Evidentemente c’è una seria preoccupazione che il bambino possa nascere vivo!

BludentalGrazie alla legge 194 in Italia abbiamo assistito alla crescita esponenziale degli aborti effettuati oltre i 90 giorni. L’aborto tardivo è sempre più richiesto, nonostante sia presentato dalla legge 194 come “un’eccezione” alla regola. Ma l’aborto tardivo diventa sempre più problematico proprio per quel comma aggiunto all’articolo 7. Il progresso della medicina neonatale ha fatto sì che oggi la sopravvivenza sia possibile, con le opportune cure, anche nel caso di bambini nati prematuri alla ventiduesima settimana. (I primi di luglio 2013, in USA, è nato vivo un bambino di 19 settimane!).

Così la rianimazione dei bambini abortiti tardivamente è diventata un “problema” legale, perché si vuole evitare agli adulti coinvolti ogni eventuale responsabilità: per la “mancata assistenza” nel caso in cui un bambino ancora vivo venga lasciato morire; o per l’“accanimento terapeutico” quando il bambino rianimato patisca in seguito problemi di salute. Si chiede di definire un termine “scientifico” prima del quale qualsiasi bambino possa essere considerato legalmente “non vitale”. Al centro del dibattito ci sono gli interessi e la copertura legale degli adulti, non dei piccoli abortiti!

Dal ‘78 (data dell’approvazione della legge 194) a oggi, infatti, è cambiata la scienza medica, non sono cambiati i bambini! I bambini non nati erano gli stessi trenta anni fa, anche se la ricerca non aveva ancora imparato a prendersene cura fuori dal protettivo ventre materno.

Benedetto Rocchi

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