Quando si parla di aborto, l’uomo pro life perde immediatamente il diritto di parola, la sua voce non è ritenuta degna di ascolto e, se si azzarda ad aprire bocca, chiunque si sente legittimato a tappargliela, troppo spesso anche con violenza.
È una prassi ormai fin troppo consolidata, tanto che con queste stesse considerazioni iniziali Life Site News apre un articolo che approfondisce il rapporto fra l’uomo e l’aborto, partendo da un evento concreto. L’attivista pro life Jonathon Van Maren, durante un incontro presso un campus universitario in Florida, così ha risposto ai tanti interlocutori che gli si rivolgevano dicendo: «Sei un uomo, cos’hai da dire sulla questione?».
«La stragrande maggioranza degli aborti avviene perché l'uomo non si è opposto e non ha detto: “Io sarò lì per te e per quel bambino in ogni caso". Le statistiche del Guttmacher Institute indicano che poco più del 60 per cento degli aborti avviene a causa di una certa pressione dall'esterno, il che significa che ben oltre il 50 per cento degli aborti avviene non perché la donna, che sta già sviluppando un attaccamento al bambino, lo vuole, ma perché qualcuno, spesso l'uomo, sta spingendo a tal fine».
Una delle più grandi bugie del femminismo è quella secondo cui l’uomo pro life è nemico della donna, vuole sottometterla ed avere potere sul suo corpo. Ma non sarà che, senza mai porre ostacoli alla sua libertà, la ama e vuole il suo bene, oltre che quello del bambino? Perché impedirgli anche solo di parlare?
Rende più libera una donna un uomo che la spinge all’aborto o un uomo che si offre per aiutare lei ed il suo bambino? Uno che le dice, ingannandola, che l’aborto è una passeggiata e che nel suo grembo c’è solo un grumo di cellule, o uno che la informa sui rischi dell’aborto e si prende cura in tutto ciò che può di lei e del piccolo?
di Luca Scalise