09/05/2022 di Luca Marcolivio

Aborto. Così c’è chi tenta di legalizzare l’infanticidio

Negli Stati Uniti, in tema di aborto, ormai lo sappiamo, esistono tendenze nettamente contrapposte, soprattutto dopo la fuga di notizie che vorrebbe la Corte Suprema come contraria (e per questo annullerebbe) la famosa sentenza “Roe vs Wade”.

Da un lato, la maggior parte degli Stati Repubblicani – Texas su tutti – stanno varando restrizioni, in molti casi anche piuttosto drastiche, confidando – proprio come da scoop di Politico - in una sentenza favorevole della Corte Suprema, che dovrebbe rovesciare dopo quasi cinquant’anni, la “Roe vs Wade” del 1973. Nella maggior parte degli Stati Democratici sta avvenendo l’esatto opposto, con legislazioni propense a varare l’aborto legale fino al nono mese. Alcune amministrazioni, come quella californiana, addirittura vorrebbero legalizzare l’infanticidio nei 28 giorni successivi alla nascita.

Qualcosa di simile a quanto avvenuto in California, è stato tentato in Maryland, dove entrambi i rami del Congresso sono a maggioranza Democratica, mentre il governatore, Larry Hogan, è Repubblicano e ha recentemente posto il veto ad un disegno di legge ultraliberal, l’House Bill 1171, intitolato Dichiarazione di Diritti – Diritto alla Libertà Riproduttiva. Secondo la bozza respinta dal governatore, allo Stato non è consentito limitare tale la «libertà riproduttiva» (ovvero il diritto ad abortire), né «direttamente», né «indirettamente», a meno che «non sia giustificato da un interesse imperativo dello Stato conseguito con i mezzi meno restrittivi».

Il disegno di legge nega qualsiasi «diritto» o «personalità giuridica» ai nascituri in qualsiasi momento della vita prenatale. A ciò si aggiunge un secondo disegno di legge, intitolato Atto di Libertà della Persona Incinta: secondo alcuni giuristi pro-life, si tratta di disposizioni che minacciano di lasciare il bambino senza tutela legale anche dopo la nascita, andando così «effettivamente a legalizzare l’infanticidio», come denunciato dall’American Center for Law and Justice.

Nel secondo disegno di legge, effettivamente, c’è scritto che non si «autorizza nessuna forma di investigazione o sanzione» per la «persona incinta», nella sua «interruzione o tentativo di interruzione di gravidanza», finanche quando sperimenti un «aborto spontaneo» o una «morte perinatale». Uno scudo penale e civile che si applica a chiunque «aiuti, informi o, in qualche modo, assista la persona nell’interrompere o tentare di interrompere la gravidanza».

Una lettura rigorosa del testo di legge rende palese quindi la depenalizzazione dell’infanticidio (qui celato dietro l’eufemismo di «morte perinatale»), senza peraltro l’individuazione di alcun preciso limite: quanti giorni dopo la nascita? Nella bozza non viene specificato.

Nel tentativo di circoscrivere il problema, il sito Snopes.com fa riferimento alla Classificazione Internazionale Statistica delle Malattie e dei Relativi Problemi di Salute, in cui si definisce come «perinatale» il periodo di tempo «che parte da 22 settimane complete di gestazione (154 giorni) e dura fino a sette giorni dopo la nascita».

Olivia Summers, consulente associata dell’American Center for Law and Justice, ha espresso a Snopes «profonda preoccupazione», in quanto il termine «perinatale», secondo lei, coprirebbe invece un arco di «28 settimane della gravidanza» fino a un periodo «da una a quattro settimane dopo la nascita».

Chi invece nega seccamente si tratti di uno sdoganamento dell’omicidio è Nicole Williams, delegata Democratica del Maryland. Il vero intento del disegno di legge sarebbe «quello di proteggere le persone incinte dall’essere accusate penalmente o ritenute responsabili in tribunale civile nel caso in cui interrompessero le loro gravidanze o subissero una perdita di gravidanza sotto forma di aborti spontanei o bambini nati morti», riassume Snopes.

Come sempre, dunque, quando una deriva antropologica è in atto e qualcuno tenta la fuga in avanti, il mandato è a sminuire o addirittura negare. La gente comune e gli elettori moderati non devono turbarsi. Tutta l’attenzione deve essere puntata “in positivo” sul «diritto alla libertà riproduttiva», come se «diritto all’aborto» fosse espressione troppo forte e divisiva. Da un lato, sembrerebbe come se di aborti ce ne fossero ancora troppo pochi; dall’altro è come se si avesse paura a usare in modo esplicito la parola “aborto”. A furia di nascondere ed edulcorare tutto, poi, le cose più aberranti si insinuano indisturbate. E l’infanticidio è servito. Ma guai a dirlo ad alta voce.

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