12/06/2013

Abortire mi ha distrutto, Dio mi ha salvato

La mia vita è cambiata per sempre, all’età di 19 anni, quando ho avuto una gravidanza “indesiderata”. Cresciuta in una famiglia pro-life, non mi ero mai sognata che le mie convinzioni sarebbero state messe alla prova. Fu molto meno complicato pensarla come una gravidanza, che non come un bambino.

Sapevo quello che dovevo fare: abortire.
Affrontare le conseguenze delle mie azioni; dire alla mia famiglia quello che avevo fatto; far loro provare la vergogna di una gravidanza non prevista, nell’adolescenza, prima del matrimonio; tenere e partorire un bambino, distruggere i piani per il mio futuro, o, eventualmente, passare per il dolore, che certo sarebbe venuto dandolo in adozione? No, semplicemente non potevo. Ero debole e vulnerabile. Non avevo altra scelta, o almeno così pensavo. Se avessi conosciuto in anticipo la depressione e il senso di colpa che sarebbero seguiti, avrei scelto un percorso diverso. Avrei dato al mio bambino una possibilità. Ma, nel bel mezzo della mia angoscia e della mia disperazione, mi rincresce dover dire che non è la scelta che ho fatto.

Mi convinsi che porre termine alla mia gravidanza a solo sei settimane di gestazione non era davvero un aborto. Avrei tanto voluto essere messa al corrente del fatto che il cuoricino di mio figlio aveva già iniziato a battere. Abortire non doveva essere un problema perché era legale, avevo pensato fra me e me. La cultura in cui vivevo mi diceva che la scelta era mia e che non era poi un gran problema. Come ho fatto a credere a quelle bugie?
Il mio spirito però stava per infrangersi contro questa decisione, contro la perdita imminente. E le lacrime ne erano prova. Le lacrime erano la prova che, nel profondo, il mio cuore sapeva che ero già una madre, che portava in grembo il suo primo figlio.

Il 6 febbraio 2009 presi la pillola RU-486 e, dopo una notte di tenebre, ne venni a capo. Sono stata felice di tornare alla mia vita normale. Volevo andare avanti, come se l’incubo non ci fosse mai stato, e dimenticare l’immenso dolore. Mi sono ingannata però, pensando che avrei potuto dimenticarlo. La consulente alla Planned Parenthood mi aveva detto che una certa tristezza iniziale dopo l’aborto sarebbe stata normale, ma se dopo un paio di giorni mi fossi sentita ancora depressa non sarebbe stato normale e avrei dovuto cercare aiuto. Quanto aveva torto.

Gran parte di quei giorni, prima e dopo il mio aborto, furono di difficile messa a fuoco di quanto era successo, fra l’angoscia e le lacrime. Trascorsi notti insonni, un’agonia nella profondità del mio cuore e della mia anima, che mi scosse fino alle midolla. Eppure non c’era nulla di così “sbagliato”, secondo me, per sentirmi in quel modo.
Cercando di dimenticare quello che avevo fatto, nel corso dei mesi successivi, cercai di lenire la mia ferita ed il mio cuore dolente buttandomi tra feste, alcool e vita promiscua. Mi stavo scavando una fossa di distruzione e di disperazione sempre più profonda. Quattro mesi dopo il mio aborto, ero di nuovo incinta. Sbagliandomi, mi convinsi che avrei rimesso insieme la mia vita dopo quello che pensavo dovesse essere un altro aborto necessario. L’appuntamento fu fissato alla Planned Parenthood...

Tuttavia, Gesù stava combattendo per me e per il mio bambino non ancora nato. Dio mi mostrò che se avessi scelto di avere un altro aborto, non sarebbero stati immaginabili il dolore e le tenebre che ne sarebbero seguiti. Ma se avessi scelto la vita, non avrei potuto immaginare la bellezza che Egli avrebbe portato... Invece di passare attraverso le porte della clinica per la seconda volta, ho quindi scelto di camminare nella luce verso la libertà. Fu come se il pensiero dell’aborto si allontanasse, alla scoperta che Dio sarebbe stato con me ad ogni passo del mio difficile cammino; ero in pace, sapendo che stavo facendo la scelta giusta – la scelta della vita...

Il 16 marzo 2010, pronta a far nascere mia figlia, mi venne data la devastante notizia che il suo piccolo cuore non batteva più. Ho dovuto consegnare il corpo del mio prezioso fiore, Lily Katherine, che mi aveva già sussurrato addio prima che io le potessi dire ciao. Ho dovuto darle abbracci e baci a sufficienza, che le bastassero e durassero per tutta la vita. Ho guardato come la sua piccola bara bianca è stata calata nella terra aperta e come è stata coperta di lacrime, di petali di rose e di gigli, e di terra.

Dio ha salvato Lily dall’aborto e ha usato la sua vita per salvare la mia. Ha usato la sua vita per rompere le mie catene di peccato e ribellione. Ha utilizzato la sua vita per ristabilire i miei rapporti familiari e di amicizia. Ha usato questa dolce bambina non nata per portare la sua mamma a Gesù.
Tutta la mia vita e il mio futuro sono stati cambiati da due bambini che non hanno mai detto una parola, né fatto un respiro. Eppure Dio parla attraverso di loro, e dice quanto preziosa e di valore ogni vita sia. Egli ha un piano ed uno scopo per ciascuna vita bella, creata a Sua immagine. Egli può prendere il nostro più profondo dolore ed il peccato e lavorarli insieme per il nostro bene e per la Sua gloria! Attraverso la scelta di vita per il mio secondo figlio, Dio ha portato la pace e la guarigione al mio cuore che era stato spezzato dall’abortire il primo. Per la vita dei miei due piccoli, ora ho una passione ed uno scopo che non avrei avuto, se non avessi passato queste esperienze.

Quando tu scegli la vita, non importa il risultato, quella è la scelta giusta, una scelta che non conosce rimpianti. Tuttavia, sempre rimpiangerò il mio aborto... il mio prezioso Luca Shiloh, mio figlio, di cui so solo che è in Cielo.
Mi sono resa conto che tutte le cose che mi hanno fatto scegliere l’aborto sono state questioni temporanee, transitorie. Anche le cose che sembrano così schiaccianti al momento, non si avvertono sempre allo stesso modo.
Il nome di Luca Shiloh significa “luce e pace”, perché è ciò che Dio ha portato in tutto quello. Egli ha portato la luce in mezzo al buio più profondo e la pace al mio cuore ferito e dolorante. E credo veramente che il Signore si sia rivelato nel mio primo bambino, che era un maschietto.
Il nome di Lily Katherine invece significa “pura ed innocente”, perché è un simbolo della mia redenzione in Gesù Cristo. E lei rimarrà per sempre pura ed innocente. Gesù ci rende candidi come la neve.

Anche se il Signore mi ha guarita, redenta, e mi ha rimessa a nuovo in modi che mai avrei potuto immaginare, ci sarà sempre e per sempre un pezzo mancante del mio cuore, un vuoto che non potrà essere riempito. Luca Shiloh e Lily Katherine, una volta ho voluto liberarmi di voi ed ho anche sperato che nessuno scoprisse mai che eravate esistiti. Ora, voglio che il mondo sappia che voi siete i miei figli. Prometto di essere sempre la vostra voce e di onorarvi in qualsiasi modo possibile, per tutto il tempo della mia vita.
Condividere la mia storia non è certo facile. Eppure, è a causa di questa promessa ai miei due figli del Cielo ed è a causa del mio desiderio di portare gloria a Gesù Cristo, che lo faccio. Parlerò quando qualcuno me lo chiederà, e scriverò quando me ne sarà data l’opportunità.
Voglio che tutti coloro che ascoltano la mia storia portino con sé queste verità nel cuore: ogni vita è sacra e bella e merita di essere protetta, l’aborto fa male a uomini e donne, la guarigione si trova, ma ti porterai per sempre dentro quella cicatrice dell’aborto. Se scegli la vita, invece, comunque vada non avrai rimpianti.
Lui risana i cuori affranti e fascia le loro ferite” (Salmo 147, 3).
Nessuna voragine è così profonda che l’amore di Dio non sia ancor più profondo” (Corrie ten Boom).

Traduzione a cura di Serafina Geraci

Clicca qui per leggere l’articolo originale pubblicato da LifeNews in lingua inglese

di Hannah Rose Allen

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