30/11/2015

Utero in affitto – “Tre son troppi, me ne tolga uno”...

“Tre son troppi, me ne tolga uno”, disse la signora al salumiere, che per sbaglio le aveva tagliato tre etti di prosciutto. Allo stesso modo un signore che aveva ordinato un bambino con utero in affitto, ha chiesto alla madre surrogante, incinta di tre, di abortirne uno.

Il New York Post ci dà la notizia: è davvero un “grande amore” per i figli quello che spinge le persone a ordinarli al supermarket dell’utero in affitto!

L’incubatrice di carne, Melissa Cook, ha detto ai giornali che quei bambini sono esseri umani a cui lei si sente legata.

Tre embrioni le sono stati impiantati perché la legge delle probabilità, nella fecondazione artificiale, dice che è comunque difficile anche che ne attecchisca uno solo: normalmente bisogna provare più e più volte. Il fatto che i figli in braccio a seguito di fecondazione extracorporea siano uno su dieci, non cambia in base all’appartenenza dell’utero a una “madre-madre” o a una “madre-mercenaria”.

utero in affittoLa Cook è ora a 17 settimane di gravidanza: in California la legge consente l’aborto solo entro le 20 settimane. Se la donna non si decide ad abortire, perde tutti i benefici del contratto che ha firmato: cioè non prende un centesimo (non è chiaro se i bambini debba/possa tenerseli lei...).

Il padre biologico committente, un uomo della Georgia, paga 33.000$ per un bambino e un bonus di 6000 per un eventuale secondo. Il terzo non è contemplato.

La gestante eccepisce, da un lato, che il committente sapeva che lei non è più giovanissima (ha 47 anni) e che nel fare la riduzione c’è un alto rischio di perdere anche gli altri due bambini. E, dall’altro, che se l’uomo non era disposto ad avere tre figli non avrebbe comunque dovuto farle impiantare tre embrioni.

Mentre si discetta di diritti e adempimenti contrattuali, quei tre ragazzini, ignari, crescono nel grembo di quella donna che – se tutto andrà bene e non dovrà sopprimerli – li darà via a uno sconosciuto di cui non hanno mai sentito né l’affetto, né la voce.

E del trauma che subiscono i bambini che vengono violentati in tal modo sembra proprio non interessarsi nessuno.

Viceversa, le femministe hanno cominciato a rendersi conto di quanto sia avvilente, mercificante e oggettivizzante per le donne la pratica dell’utero in affitto. Abbiamo dato notizia delle proteste della Sylviane Agacinski, storica femminista francese e del convegno che si terrà il 2 febbraio 2016 in Francia per l’Abolizione universale della maternità surrogata, al quale parteciperanno ricercatori, parlamentari francesi ed europei, e – appunto – associazioni femministe. Anche in Italia, ha parlato la Marina Corradi. Poi, riunitesi nella Casa delle Donne a Roma qualche giorno fa, alcune femministe italiane hanno contestato la legalizzazione non solo dell’utero in affitto (che ancora in Italia è reato), ma anche della fecondazione artificiale e del mercato degli ovuli. Tra le voci più autorevoli quella di Luisa Muraro e di Paola Tavella, e persino di qualche esponente della segreteria nazionale di ArciLesbica ha espresso qualche dubbio in materia.

Ebbene, come è accaduto alla povera Monica Sargentini (che ci ha rilasciato giorni fa un’intervista)così tutte queste persone che ragionano con un po’ di buon senso e secondo natura, sono state aggredite mediaticamente, trattate con disprezzo – se non insultate – e accusate di omofobia.

Noi di ProVita, insomma, siamo in buona compagnia.

Francesca Romana Poleggi

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