06/06/2016

Uomini vs animali. La bestialità del male

Paradosso del nostro tempo: gli uomini accrescono a dismisura la loro potenza sulla natura e, al tempo stesso, non sembrano desiderare altro che ridurre la propria distanza dalla natura.

Due fatti recenti sembrano testimoniarlo ed è partendo da questi che svilupperemo alcune riflessioni.

Nel primo caso vediamo l’attuazione del (corretto) dominio degli uomini sugli animali: un gesto razionale che ha provocato molte reazioni indignate. In uno zoo di Cincinnati (USA) un bambino è accidentalmente caduto nella gabbia di un gorilla: l’impossibilità di prevedere la reazione del primate e il pericolo immediato per la vita del fanciullo hanno portato la direzione della struttura ad optare per la soppressione dell’animale. In rete, tuttavia, in migliaia hanno protestato per l”insano’ gesto, insultando i genitori del bimbo e auspicando l’estinzione del genere umano: la vita di un gorilla, per costoro, vale di più quella di un uomo...

La seconda questione che ci fa riflettere è un recente servizio giornalistico sugli uomini-cane, nuovo fronte di perversione e di decadimento in pieno gender-style (si veda questo video). In Gran Bretagna c’è chi chiede di considerare come normale la vita della comunità degli uomini-cane, punta avanzata dell’antispecismo: individui, generalmente maschi, spesso gay, che amano vestirsi e atteggiarsi da cani. Gli uomini-cane propugnano l’abbattimento di ogni confine tra il mondo umano e quello animale e rivendicano la ‘transizione di specie’.

Non c’è più differenza, secondo questa prospettiva, tra natura umana e natura non umana: gli uomini si confondono, come accadeva nei miti dionisiaci, col cosmo del ‘semplicemente vivente’. Sembra avverarsi la profezia dello scrittore britannico G. K. Chesterton, che in The Thing (del 1939) aveva visto avanzare una specie di ‘comunismo cosmico’. Una nuova ideologia che, affermando l’indifferenza tra il corpo umano e quello animale, si esprimeva “lasciando che un uomo muoia come un cane e pensando che la morte di un cane sia più patetica di quella di un uomo“.

Il comunismo cosmico è il segno di un rapporto profondamente malsano tra uomini e animali. In una società tradizionale la necessità di nutrirsi impone all’uomo di uccidere altri esseri viventi, ma questa esigenza non determina una relazione unicamente tecnico-strumentale. L’animale non è una semplice cosa, in lui pulsa la vita. L’uomo si sente legato all’animale da un interesse vitale, ma uomo e animale non sono entità estranee: l’animale ha un proprio statuto sociale, la sua uccisione avviene all’interno di una cornice rituale alimentata da un ricco quadro di elementi e rimandi simbolici.

Questo rapporto muta radicalmente di segno a partire dall’Ottocento: la desacralizzazione del mondo colpisce anche il rapporto uomo-animale. Assistiamo così a  un duplice e contraddittorio movimento, di ‘allontanamento da’ e di avvicinamento all’animale.

Si apre una frattura – inedita nella storia per intensità e ampiezza – tra specie commestibili e specie domesticabili: sempre più gli animali vengono classificati come ‘utili’ (animali da allevamento, abbandonati al loro destino di carne da macello) o ‘inutili’ (pets, cioè gli animali da compagnia e le specie in via di estinzione, entrambe degne di rispetto, protezione e affetto).

Animali ‘utili’ e ‘inutili’ costituiscono due universi profondamente separati.

Le specie commestibili vengono ‘prodotte’ in maniera massiccia e intensiva in strutture industriali sempre più tecnicizzate, separate dalla società e massificate, in modo da rifornire mercati sempre più ampi. L’animale è ridotto alla categoria puramente funzionale di merce-carne, la sua morte non ha più nulla di rituale: è un atto puramente tecnico. Si può dire che l’animale è degradato a cosa, a materiale non vivente, a ingranaggio del sistema della produzione alimentare di massa.

Contemporaneamente, nella società del tempo libero, si impone una autentica idolatria (petmania) delle specie domesticabili, che si manifesta sotto forma di un grottesco culto adorante dove l’animale è ridotto a una ridicola proiezione dell’uomo, di modo che non è più che l’oggetto di una sua proiezione narcisistica.

La parabola dell’animale nel mondo contemporaneo oscilla pertanto tra due poli contraddittori: reificazione (animale retrocesso a cosa) oppure umanizzazione (animale elevato a persona).

La percezione distorta dalla relazione uomo-animale giunge talvolta a innescare una vera e propria inversione dei valori: la dignità della vita umana viene direttamente parificata a quella animale. La linea di confine si fa sempre più esigua e mobile, tanto che la equiparazione uomo-animale viene talora invocata per legittimare lo ‘scarto’ di vite umane indesiderate, come accade nel dibattito sulla sperimentazione animale dove alcuni difendono l’idea che si possa sperimentare sui ‘rifiuti’ dell’umanità, cioè sui carcerati e sugli psicolabili, per non parlare dell’ipotesi di attingere ai corpi dei poveri o degli immigrati per un espianto di organi (anche se remunerato).

L’umanizzazione dell’animale ha il suo contrappeso nella bestializzazione dell’uomo (in particolare di quella porzione di umanità più fragile e indifesa, considerata come cosa inerte della natura). L’idea secondo la quale l’uomo ‘non è che un animale’ è il preludio delle più brutali carneficine della storia. Come ha scritto Adorno in un mirabile aforisma di Minima moralia: L’affermazione ricorrente che i selvaggi, i negri, i giapponesi somigliano ad animali, o a scimmie, contiene già la chiave del pogrom“.

È folle pensare di umanizzare il mondo animale per sottrarlo alla più brutale cosificazione. Bisogna piuttosto ritornare a umanizzare la relazione tra uomo e animale.

Andreas Hofer

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