05/01/2017

Uomini che s’innalzano a Dio: la Babele moderna

Viviamo in un’epoca adolescente, ribelle e ostinatamente ossessionata dai diritti per tutti gli uomini. Oggi dire che un bimbo ha bisogno di un padre e una madre è un atto discriminatorio.

Autori ben più illustri di me hanno messo in rapporto i cambiamenti della società odierna alle filosofie irrazionali di Nietszche, Marx e Freud, che il filosofo Ricoeur ha definito maestri del sospetto. Acuti pensatori che ci hanno però condotto al crollo dei pilastri che per secoli hanno retto la società.

Un crollo che ha trovato massima espressione nel grido nietzschiano: Dio è morto! L’autorità massima, quella del Padre, è stata tolta di mezzo. Edipo ha ucciso il padre, Laio, e si è seduto sul suo trono, gettando su Tebe la maledizione della peste. Gli uomini si sono vogliono innalzare all’altezza di Dio costruendo una torre in grado di arrivare fino al cielo. La conseguenza è il caos.

In ambito scientifico sembra non esserci più un vero e un falso, la ricerca afferma, con la mano destra, ciò che disconferma con la mano sinistra. È ciò che vediamo a proposito della genitorialità omosessuale. Decine, centinaia di ricerche, pur criticate, sostengono la “tesi della non differenza”: crescere con genitori dello stesso sesso sarebbe del tutto equiparabile a crescere con una mamma e un papà.

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Oggi la rivendicazione di un gruppo sociale, se abbastanza coeso e potente da reclamare diritti, vale più dell’autorità dei grandi teorici del passato e della stessa ragionevolezza. In forza di una presunta modernità dei tempi, affoghiamo nel mare magnum della ricerca sociale che, privata di un sistema di riferimento antropologico chiaro, non può produrre risposte chiare alle profonde domande degli uomini.

In un intervento sul mio blog, in cui racconto la mia prospettiva di omosessuale non allineato alle posizioni LGBTQ, accennavo velocemente alle tesi di alcuni grandi psicoanalisti nel dibattito sulla genitorialità omosessuale. Un lettore contestava definendole “teorie superate”. Questa è la maledizione di Babele: l’autorità non ha più valore.
Se Freud, Bowlby, Mahler, Winnicott sono teorie superate, possiamo buttare nel cassonetto il 90% dei manuali universitari.

Poco importa se Erikson nel 1968 fa una lettura dell’indifferenziazione sessuale (da lui chiamata confusione bisessuale) talmente attuale da sembrare scritta ieri. Poco importa se Adler ha anticipato di decenni la derubricazione dell’omosessualità dai manuali diagnostici, sostenendo giustamente che essa non sia in se stessa una patologia, ma che si tratti comunque di una problematica riconducibile ad un conflitto psicodinamico. Poco importa ancora che Fromm abbia delineato chiaramente le differenze tra amore materno e paterno e la necessità di entrambi per lo sviluppo sano del figlio. «L’atteggiamento materno e quello paterno corrispondono ai bisogni propri del bambino. Egli ha bisogno dell’amore incondizionato e delle cure materne sia psichicamente che fisicamente. Il bambino, dopo i sei anni, incomincia ad avere bisogno dell’amore paterno, della sua autorità, della sua guida. La madre ha la funzione di renderlo sicuro nella vita, il padre ha quella d’istruirlo, di insegnargli a battersi con quei problemi che dovrà affrontare nella società in cui è nato» (Fromm, 1956).

Possiamo argomentare, possiamo fare ricerche mirate a smussare gli angoli di teorizzazioni che sicuramente vanno accomodate alla società contemporanea e alle recenti acquisizioni della scienza. Ma se semplicemente buttiamo a mare autori di questa portata perché non li riteniamo politically correct, forse siamo fuori strada e rischiamo davvero il caos di Babele. Parafrasando Chesterton, è davvero inquietante trovarci oggi a dover difendere la banalità di tutto questo.

Emmanuele Wundt

Fonte: Notizie ProVitaottobre 2014, p. 23.

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