27/05/2025 di Luca Marcolivio

Consulta su “due mamme”. Bovassi: «Ecco perché Corte nega la realtà»

Con le recenti sentenze 68 e 69, la Corte Costituzionale sembra aver voluto dare un colpo al cerchio e uno alla botte in tema di procreazione medicalmente assistita. Ma sono - di gran lunga - più i lati negativi che quelli positivi. Con la sentenza n. 68/2025, infatti, la Corte ha stabilito che è incostituzionale negare al figlio nato in Italia da due donne che hanno effettuato la Pma all’estero il riconoscimento come figlio anche della madre non biologica. Secondo la Corte, ciò lede i diritti del minore e la sua identità giuridica. Con l’altra pronuncia (69/2025) invece, ha confermato la legittimità della norma che consente l’accesso alla Pma solo alle coppie eterosessuali, escludendo le donne single. La Corte ha ritenuto questa scelta coerente con la tutela del minore e ha lasciato al legislatore ogni eventuale modifica. A riguardo, Pro Vita & Famiglia ha raccolto il commento di Giulia Bovassi, docente di bioetica all’Università Anáhuac, in Messico.

Prof.ssa Bovassi, le sentenze si contraddicono vicendevolmente: la prima sostanzialmente nega la figura paterna, la seconda sembra implicitamente affermarla. È così?

«Proprio così. La prima fonda la sua “ratio” proprio sull'idea di destituire il fondamento antropologico della famiglia, aprendo a una “neo-verità”, per indurre l’opinione pubblica ad accettare che la famiglia non debba più corrispondere al modello della famiglia naturale (peraltro riconosciuto anche dalla nostra Costituzione), bensì debba adattarsi ai vari modelli familiari ormai consolidati al giorno d’oggi. La seconda sentenza, al contrario, va a ribadire il divieto per le donne single di accedere alla Pma, sulla base di una motivazione a monte della quale c’è la volontà di preservare il miglior interesse del bambino, al quale va garantita la complementarità della madre e del padre. Un duplice pronunciamento “schizofrenico”, dunque, per non parlare del fatto che l’oggetto di entrambe le sentenze è proprio la pratica della Pma».

Sembrerebbe, dunque, che la Corte Costituzionale non sia animata da principi etici univoci…

«Ritengo che ormai un po’ tutti abbiano intuito ci sia in gioco una sorta di “para-politica”, di contro-potere, che molto spesso tende a sconfinare dal proprio campo invadendo invece quello del legislatore e, in particolare, quello Parlamento, cercando così di spingere ad iniziative legislative volte a cambiare lo stato dell’arte dal punto di vista del diritto positivo vigente. Nello specifico, il fatto stesso che questa sentenza parli di “madre intenzionale”, esorta, per l’appunto, a guardare ad altri modelli familiari che non rispondono alla famiglia naturale, così come viene menzionata dall’articolo 29 della Costituzione». 

Dove finisce l’etica e dove inizia il diritto, allora?

«Io credo che i giudici costituzionali dovrebbero essere custodi di principi sostanziali come l’impianto della nostra Costituzione, guardando al significato di bene e di giusto. Se, però, si va a sganciare il diritto positivo da ciò che dovrebbe precederlo (ovvero il diritto naturale), se non si è d’accordo su quale sia il bene da riconoscere, si arriva a una sorta di far west del diritto, dove ognuno, attraverso lo strumento giuridico, crea una propria formulazione di ciò che è vero e di ciò che è giusto. Sappiamo bene, però, che le leggi – così come anche, in questo caso, le sentenze – fanno cultura o avallano un certo tipo di orientamento culturale. A mio avviso, nel rapporto tra etica e diritto, un grave problema è proprio la convinzione falsa e ingannevole che l’etica e il diritto debbano essere tra loro indipendenti, perché l’etica è qualcosa di personale, individuale, soggettivo, mentre il diritto dovrebbe garantire la visione di tutti, cosa che nella realtà è impossibile e irrealizzabile. Con il risultato che il livello giuridico va a contraddire se stesso. Si entra così in un corto circuito, in cui diventa pressoché impossibile orientarsi verso ciò che effettivamente è il bene e ciò che effettivamente è il vero. Il recente esempio della Consulta, quindi, sfocia a livello ideologico perché mostra che il diritto, invece che adattarsi al bene che lo precede, vuole adattarsi ad una realtà fittizia e costruita, non naturale».

Possiamo dunque concludere che la prima sentenza incoraggia l’ “omogenitorialità”?

«Come accennavo, la sentenza n. 68 mira a un riconoscimento sempre più consolidato di cosiddetti nuovi modelli familiari. In questo caso, comunque, verrebbe da chiedersi ironicamente: perché solo tra due donne e non, ad esempio, tra due uomini? Il riconoscimento della cosiddetta “madre intenzionale”, priva di un legame genetico con il figlio, va a consolidare l’idea che quell’unione rappresenta un nucleo familiare; quindi, si attacca direttamente il fondamento antropologico della famiglia, cercando di sempre più arrivare a consolidare invece questo tipo di unioni. D’altro canto – ed è questo l'assurdo – la sentenza n. 69, si fonda, appunto, nella convinzione che una donna, da sola, non può garantire un diritto alla maternità, perché questa si configura – malgrado l’ideologia – nel concepimento indissolubilmente legato a una madre e a un padre. Quindi, in virtù di questa verità biologica che precede il diritto, una madre single non può accedere alla Pma. Il mantenimento di questo divieto, secondo la Corte non è qualcosa di irragionevole, tuttavia, con la sentenza n. 68, si spinge verso una nuova forma mentis a favore di nuove tipologie familiari. Sappiamo, comunque, che nessuno di noi può dirsi figlio di due donne o di due uomini perché biologicamente chiunque potrà essere solo e sempre figlio di un uomo e di una donna. Quindi, quanto affermato nella sentenza n. 68 è proprio in contraddizione con la realtà».



 

 

Questo articolo e tutte le attività di Pro Vita & Famiglia Onlus sono possibili solo grazie all'aiuto di chi ha a cuore la Vita, la Famiglia e la sana Educazione dei giovani. Per favore sostieni la nostra missione: fai ora una donazione a Pro Vita & Famiglia Onlus tramite Carta o Paypal oppure con bonifico bancario o bollettino postale. Aiutaci anche con il tuo 5 per mille: nella dichiarazione dei redditi firma e scrivi il codice fiscale 94040860226.