16/02/2023 di Giuliano Guzzo

Ue ratifica convenzione di Istanbul. Un cavallo di Troia per il gender. Tutto quello che c’è da sapere

Ci sono passaggi istituzionali e politici che, di fatto, hanno un peso ben maggiore, in termini soprattutto di conseguenze, rispetto a quello pure rilevante che sembrano avere. È senza dubbio questo il caso della recente approvazione, avvenuta ieri da parte del Parlamento europeo - con 469 voti a favore, 104 contrari e 55 astenuti -, della ratifica obbligatoria per gli Stati Ue della Convenzione di Istanbul, documento che sarebbe – almeno nelle intenzioni iniziali - «contro la violenza sulle donne» ma, nei fatti, veicola tutt’altri concetti e ideologie.

Prima di soffermarsi su questo, però, è meglio evidenziare quali sono stati gli europarlamentari italiani che, coraggiosamente, hanno votato contro l’approvazione di quello che a buon diritto su queste colonne è stato chiamato un vero e proprio “ddl Zan europeo” – e quelli che invece hanno scelto di appoggiarlo, forse senza rendersi neppure del tutto conto delle conseguenze della loro scelta. Iniziando coi primi, vanno senza dubbio ricordati gli eurodeputati italiani del gruppo Id (Adinolfi M., Baldassarre, Basso, Borchia, Campomenosi, Ceccardi, Conte, Da Re, De Blasis, Gazzini, Ghidoni, Lancini, Lizzi, Panza,,Rinaldi, Sardone, Tardino, Zambelli, Zanni), di Ecr (Berlato, Fidanza, Fiocchi, Gemma, Nesci, Procaccini, Sofo, Stancanelli) e Salini del Ppe.

A favore della ratifica obbligatoria da parte degli Stati Ue della Convenzione di Istanbul, invece, tra gli italiani, hanno votato altri deputati sempre del gruppo Id (Bonfrisco) e del Ppe (Adinolfi I., Comi, Mussolini, Regimenti, Vuolo). Questi ultimi europarlamentari sono tutte donne e verosimilmente avranno espresso il loro voto nella convinzione – peraltro comune a tantissimi, anche nel mondo della cultura e dei mass media – che la Convenzione di Istanbul riguardi solo la dignità delle donne. Sfortunatamente, non è affatto così: in quel documento c’è pure molto altro.

Anzitutto va notato un aspetto di forma che tuttavia è a suo modo anche di sostanza: l’impiego frequentissimo del termine «genere», aspetto abbastanza curioso dato che il documento nasce per contrastare – a prima vista, almeno – la violenza contro le donne. La parola «donna» non era forse già, di per sé, abbastanza precisa? Se questo può apparire un dubbio marginale, ben più esplicita è invece l’insidia contenuta al comma 3 dell’art. 4 della Convenzione, che fa capire come il termine «genere», appunto, non sia affatto usato come sostitutivo di «sesso», bensì con un suo significato autonomo. Diversamente, non si sarebbe scritto che «L'attuazione delle disposizioni della presente Convenzione da parte delle Parti contraenti […] deve essere garantita senza alcuna discriminazione fondata sul sesso, sul genere, […] sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere».

Ma cosa c’entrano l’«orientamento sessuale» e l’«identità di genere» - la stessa contenuta e veicolata dal fu ddl Zan (art.1, comma 1, lettera d) -  in una Convenzione contro la violenza sulle donne? Evidentemente poco. Non meno critico, continuando con gli elementi di perplessità, risulta l’art 14 comma 1 della Convenzione, che richiama esplicitamente «azioni necessarie per includere nei programmi scolastici di ogni ordine e grado dei materiali didattici su temi quali la parità tra i sessi, i ruoli di genere non stereotipati». Anche qui - a parte che non è chiaro esattamente quali sarebbero «i ruoli di genere non stereotipati» - non si può non rilevare come il generico richiamo ad «azioni necessarie» da «includere nei programmi scolastici», tanto più dopo aver tirato in ballo «identità di genere», rafforza il sospetto che si stia parlando di un indottrinamento scolastico forzato di matrice gender.

E si potrebbe continuare ancora a lungo, chiaramente, nel denunciare i pericoli della Convenzione di Istanbul se non fosse già palese un aspetto: il contrasto alla violenza contro le donne è sostanzialmente quasi un pretesto, in tale documento, per legittimare tutt’altri concetti che, in alcuni casi – si pensi appunto a quell’«identità di genere» per uno per esser ritenuti donne basta “sentirsi tali” -, vanno proprio a smantellare l’identità femminile. Il che rende ancor meno comprensibile il motivo per cui svariati europarlamentari, incluse delle onorevoli donne italiane, si siano espressi a favore della ratifica obbligatoria per gli Stati Ue della Convenzione di Istanbul, atto che se da un lato già può porre, a prescindere, dei problemi di sovranità nazionale, dall’altro senza dubbio ne mette in evidenza alcuni ben più gravi: di natura ideologica e di contrasto al primato educativo delle famiglie. Così il ddl Zan uscito dalla porta parlamentare italiana, ecco, rischia davvero di rientrare dalla finestra: quella europea.

 

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