07/12/2020 di Giuliano Guzzo

Tribunale inglese dice stop a terapie transgender per under 16

Basta terapie transgender e bloccanti della pubertà per gli under 16 senza, prima, il via libera di un giudice. Più che una sentenza, è un vero e proprio terremoto il verdetto emesso dall’Alta Corte di Londra presieduta dalla Dame Victoria Sharpe la quale - pronunciandosi sul caso di Keira Bell, informatica di 23 anni che sette anni fa ha compiuto l’iter per il «cambio di sesso» presso la clinica londinese Tavistock, salvo poi pentirsene denunciando di non essere stata, allora, assistita con la dovuta prudenza – ha stabilito che «è molto improbabile che i minori al di sotto dei sedici anni, che soffrono di disforia di genere, siano in grado di acconsentire con maturità a cure che portino al cambiamento del loro genere sessuale».

Parole pesantissime, quelle dei giudici inglesi, perché sottolineano che, diversamente da quanto accaduto finora, il percorso di transizione ormonale-chirurgica non potrà più subire accelerazioni né scomposizioni, intervenendo per esempio precocemente nell'asportazione dei genitali. Tutto dovrà cioè essere prima vagliato con la necessaria attenzione, ha infatti stabilito l’Alta Corte, facendo riferimento esplicito all'«improbabilità» che gli under 13 e al «dubbio» che gli under 16 possano fornire un assenso pienamente consapevole ad iter che conducano «al cambiamento del loro genere sessuale». Questa sentenza è destinata ad avere conseguenze sia nazionali sia internazionali.

Iniziando con le prime, c’è da dire che, dopo il caso Keira Bell, ogni ricorso contro il sistema sanitario di Sua Maestà da parte di trans «pentiti» sarà quanto meno ammissibile. Non è poco se si considera che, sopratutto in relazione agli ex pazienti della discussa clinica Tavistock, il fenomeno dei cosiddetti «detransitioners» è molto esteso, tanto da essere già stato oggetto, proprio in questi anni, di specifiche pubblicazioni, come quella degli studiosi Heather Brunskell-Evans e Michele Moore, eloquentemente intitolata Inventing Transgender Children and Young People (Cambridge Scholars, 2019).

In altre parole, questo storico pronunciamento potrebbe con ogni probabilità essere solamente il primo di una lunga serie; il che, con un travolgente effetto a valanga, determinerebbe un pesante scossone in un Paese dove, comunque, poche settimane fa era arrivato lo stop definitivo alla riforma del Gender Recognition Act, che in estrema sintesi chiedeva di ammettere il cosiddetto self-id o autocertificazione di genere, con la conseguente possibilità per chiunque di decidere in totale libertà a quale genere appartenere, a prescindere dal proprio sesso biologico.

Per quanto riguarda i riflessi internazionali di questo caso, c’è da dire che esso si inserisce in un periodo che vede l’intero Occidente interrogarsi criticamente sugli effetti del «cambio sesso», in particolare quando di mezzo ci sono dei giovani. Si pensi al Royal Australian College of Physicians che, interpellato dal suo governo, a marzo aveva evidenziato che «le prove esistenti sulla salute e sugli esiti dell'assistenza clinica sono limitate», facendo così capire che quella degli adolescenti Lgbt non è esattamente un’esistenza felice. Oppure, per restare all’Europa, si pensi alla Svezia, dove dall’autunno 2019 i casi di minori con disforia di genere operati è in forte calo a causa delle cautele sanitarie che si sono diffuse proprio con riferimento a farmaci e trattamenti ormonali per il «cambio di sesso»; nel caso svedese, a fare rumore erano state soprattutto, tempo addietro, le parole di Christopher Gillberg, luminare docente a Göteborg il quale, in un intervento sul Svenska Dagbladet, aveva avvertito che il trattamento e la chirurgia sui minori sono da considerarsi nientemeno che «un grande esperimento».

La senza dubbio travolgente sentenza dell’Alta Corte di Londra è dunque solo l’ultimo anello di una catena di ritrovata prudenza, se non di ravvedimento, che il mondo occidentale sta seguendo. Non ce n’è chiaramente abbastanza per parlare di rivoluzione, intendiamoci. Ma senza dubbio si tratta di una battuta d’arresto per la pandemia gender, e non è poco.  

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