20/06/2016

Transgender illusi, mutilati e lasciati al loro destino

I chirurghi che effettuano le operazioni di riassegnazione del sesso dicono alle persone transgender che il 98% degli interventi chirurgici hanno successo.

Questo può essere vero riguardo l’aspetto strettamente medico-chirurgico. Ma, al di là dell’abilità pratica del bisturi, la totalità emotiva e psicologica del paziente – non solo nei primi mesi, ma negli anni a venire – chi la tiene in considerazione?

Già dodici anni fa, The Guardian aveva riportato che una revisione di più di centro studi medici internazionali su pazienti transgender operati all’Università di Birmingham non aveva trovato «alcuna solida prova scientifica che la chirurgia di cambiamento del sesso sia clinicamente efficace... Neli Stati Uniti e in Olanda un quinto dei pazienti hanno rimpianto di essersi sottoposti all’operazione».

Poco dopo l’intervento chirurgico la maggior parte delle persone si sente bene, meglio rispetto a prima. Con il tempo, tuttavia, l’euforia iniziale svanisce. L’angoscia ritorna, ma questa volta è aggravata dal fatto di  avere un corpo che è irrevocabilmente modellato (e mutilato) per assomigliare al sesso opposto. Questo è quello che è successo a me , ed è quello che la gente con rammarico mi scrive.

Ecco una testimonianza:

«Ho iniziato la transizione da maschio a femmina in tarda adolescenza e ho cambiato nome a vent’anni, più di dieci anni fa. Ora il corpo femminile non mi sta più bene. Mi avevano detto che il mio essere transgender era un dato di fatto permanente, immutabile, fisicamente radicato nel mio cervello e che mai avrei potuto liberarmene. Mi è stato detto che l’unico modo per trovare la pace era quello di cambiare sesso.

Anni fa ho cominciato a vedere uno psicologo per superare alcuni problemi di traumi infantili che mi causavano depressione e ansia. Ho cominciato a guarire. Ma intanto che guarivo  riemergeva la mia mascolinità. Così due anni fa ho iniziato a contemplare l’idea di ritornare a essere maschio. Ho il diritto di farlo. E non ho dubbi: voglio farlo!

Ho subito la orchiectomia [la rimozione di uno o entrambi i testicoli] quindi non potrò più avere figli. Però ho bloccato la mia pubertà prima che mi venisse la barba per cui non ho fatto uso di laser o elettrolisi sul viso: con il trattamento ormonale maschile posso ancora  sperare di farmi crescere una folta barba e di avere la voce profonda. Avrò bisogno di un intervento chirurgico per sbarazzarsi del seno... ma non potrò mai più avere figli: prego Dio che mi dia la forza di sopportare questo dolore».

La sorte di questo giovane poteva essere prevista ed evitata se solo i sostenitori dell’ideologia transgender avessero voluto considerare i primi risultati delle ricerche del dott. Charles Ihlenfeld. Già nel 1979, il Dr. Ihlenfeld aveva messo in guardia i suoi colleghi: dopo sei anni di esperienza nel trattamento con ormoni di oltre 500 persone, Ihlenfeld aveva rilevato che i pazienti che avevano cambiato sesso erano troppo infelici e troppi di loro si erano suicidati.

Secondo il suo parere di medico, l’80% di coloro che vogliono cambiare sesso non dovrebbero farlo. E per il restante 20% il cambiamento di sesso non è una soluzione permanente ai loro problemi.

Più della metà dei transgender soffre di altri disturbi psichiatrici, come depressione, fobie e ansia che devono essere trattati prima di subire intreventi chirurgici e ormonali irreversibili.

Il 41% dei transgender, secondo un sondaggio nazionale, hanno tentato il suicidio. La percentuale di tentati suicidi tra i transgender è venticinque volte maggiore del tasso di tentativi di suicidio (1,6 per cento) tra la popolazione generale.

La maggior parte delle persone non si rende conto che gli esiti della transizione non hanno seguito nel tempo e che le persone non sono seguite: nei primi mesi tutti sono più o meno felici e soddisfatti. Poi i ricercatori perdono le tracce di più della metà di quelli che sono stati operati. I sentimenti di rimpianto e le idee suicidarie possono venire fuori anche dieci-quindici anni dopo la transizione.

Walter Heyer

(Traduzione, con adattamenti, a cura della Redazione)

Fonte:  The Public Discourse


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