È in corso un’indagine scientifica presso la clinica britannica dove la pubertà viene bloccata per via farmacologica. Gli studi completi non sono stati ancora pubblicati ma i dati rivelati in anteprima confermano la maggiore incidenza delle tendenze suicide e degli atti autolesionistici tra gli adolescenti che vengono sottoposti a tale trattamento. L’età minima per la somministrazione di farmaci che inibiscono gli ormoni della pubertà è attualmente fissata agli 11 anni, mentre, prima del 2011, era fissata a sedici.
Nel Regno Unito, il numero di adolescenti e preadolescenti avviati alla procedura del cambio di sesso, è salito dai 468 del 2013 ai 2519 del 2018. I ragazzi che presentano sintomi di disforia di genere o di disorientamento riguardo alla propria identità sessuale vengono solitamente indirizzati al Gender Identity Development Service (GIDS) presso la Tavistock and Portman NHS Foundation Trust a London e a Leeds.
Secondo quanto riferisce il programma Newsnight della BBC, l’équipe di ricercatori che sta indagando sulle procedure si è proposta di «valutare gli effetti psicologici, fisici e sociali» dei farmaci bloccanti su un gruppo di ragazzi accuratamente selezionato. I dettagli sui rischi – come i potenziali effetti negativi sulle ossa, sullo sviluppo degli organi sessuali, sulla forma del corpo o sulla statura da adulti – sono stati riportati in una scheda informativa del paziente.
Newsnight ha tuttavia individuato delle informazioni che erano state omesse dalle prassi delle cliniche ufficiali. Una precedente ricerca aveva suggerito a tutti i giovani che assumevano bloccanti di proseguire con gli ormoni intersessuali, che rappresentano il successivo passo nella transizione al sesso opposto. Un elemento che, secondo esperti come il professor Michael Biggs, sociologo dell’Università di Oxford, indurrebbe i giovani pazienti e i loro genitori a non dare alcun consenso alla cura.
Di diverso avviso il GIDS che, assieme al professor Russell Viner, principale investigatore, afferma: «Siamo fiduciosi sul fatto che il consenso informato è stato ottenuto».
I dati preliminari riguardo a 30 giovani pazienti su 44 mostrano che, dopo un anno di bloccanti puberali, si è riscontrato un significativo incremento di coloro che hanno ammesso: «Ho deliberatamente provato a uccidermi o a farmi del male». Risultati che sono stati definiti «molto preoccupanti» dalla professoressa Susan Bewley, presidente di Healthwatch, una onlus per la tutela della scienza e dell’integrità nel sistema sanitario.
Sebbene i riscontri finora ottenuti non permettano ancora un confronto con i bambini con disforia sessuale che non assumono farmaci, si tratta di dati che dovrebbero far riflettere.
Hannah Philips, 19 anni, ha iniziato ad assumere bloccanti puberali all’età di 16. «Non credo possa essere successo qualcosa che i medici avrebbero potuto dirmi per impedirmi di passare ai bloccanti ormonali», ha detto la giovane youtuber, dichiarandosi d’accordo con le norme attuali.
Nel frattempo, però, il caso sta portando subbuglio anche all’interno dello stesso GIDS. La dottoressa Kirsty Entwistle, già operativa nel Servizio, ha riferito di come i bloccanti puberali fossero stati presentati agli adolescenti come farmaci dagli effetti «pienamente reversibili», quando, in realtà, il loro impatto a lungo termine risultava ancora sconosciuto. La stessa dottoressa Entwistle ha denunciato il clima intimidatorio all’interno del GIDS, per cui chiunque sollevasse perplessità, veniva tacciato di transfobia.
Da parte sua, Paul Jenkins, direttore esecutivo di Tavistock and Portman Trust, ha insistito sul carattere reversibile dei farmaci e affermato che il GIDS si stava impegnando per mettere a proprio agio i medici, per evitare di renderli «influenzati dal dibattito molto acceso», mentre nell’organizzazione non era stata sollevata alcuna preoccupazione per il personale, falsamente accusato di transfobia.
Nel 2014, nonostante gli studi in materia fossero ancora in corso, la politica britannica sui bloccanti ormonali ha conosciuto una svolta, con l’ammissione alle cure di bambini appena entrati nella pubertà. Secondo i dati del GIDS, dal 2012 al 2018, sono stati 267 i pazienti d’età inferiore ai 15 anni che hanno iniziato ad utilizzare i bloccanti. Il GIDS ha riferito a Newsnight che l’uso di bloccanti ormonali, prima di quell’età «rimane disponibile solo per un gruppo accuratamente selezionato».
Il Servizio Sanitario Nazionale britannico dichiara che tale cambiamento di politica è stato motivato da studi specifici, di cui Newsnight ha chiesto documentazione formale, senza però ottenere nulla di concreto.
Luca Marcolivio