La recente sentenza n. 66/2025 della Corte Costituzionale - risalente allo scorso 27 marzo e depositata oggi - ribadisce, purtroppo, l'apertura al suicidio assistito, ma al contempo evidenzia con forza i gravi pericoli che questa pratica comporta per le persone più vulnerabili, specialmente in un contesto dove l'accesso alle cure palliative è ancora gravemente carente come in Italia.
La Corte ha infatti sottolineato che l'assenza di un adeguato sistema di cure palliative può indurre i pazienti a percepire la morte assistita non come una scelta libera, ma come un dovere imposto dalle circostanze, alimentando una "pressione sociale indiretta" che può portare i malati a sentirsi un peso per la società e per i propri cari, come tra l’altro la stessa Consulta aveva già affermato con la sentenza n. 135/2024.
Tale, drammatico monito è inserito nel contesto della decisione in cui la Corte ha dichiarato infondata la pretesa, avanzata dall’Associazione Luca Coscioni, di considerare sufficiente, ai fini del suicidio assistito, la sola prognosi infausta a breve termine senza la necessità che si rendano necessari trattamenti di sostegno vitale. È stato quindi disinnescato il tentativo dei radicali di ampliare ancor più il margine di non punibilità dell’aiuto al suicidio.
Toni Brandi, presidente di Pro Vita & Famiglia Onlus, ha dichiarato: «Pur ritenendo gravissime le aperture della Corte al suicidio assistito, non possiamo tacere l'importanza del monito riguardo ai rischi fatali che proprio queste aperture possono comportare per i soggetti fragili. È inaccettabile che, in assenza di un'efficace rete di cure palliative, si possa spingere indirettamente i malati verso la morte assistita. Lo Stato ha il dovere di garantire a tutti i cittadini l'accesso a cure che allievino la sofferenza, senza mai diventare somministratore di morte».
Pro Vita & Famiglia Onlus rinnova l'appello al legislatore e al Servizio Sanitario Nazionale affinché vengano potenziate le reti di cure palliative e garantita un'effettiva presa in carico dei pazienti, evitando così che la mancanza di assistenza trasformi il diritto alla vita in un dovere di morire.