15/01/2022 di Anna Bonetti

Subisce un aborto spontaneo dopo il no del pronto soccorso perché senza tampone. Ecco cosa ci insegna questa assurda vicenda

Il fatto di cui parliamo è successo a Sassari, dove una donna incinta al quinto mese di gravidanza si è recata al pronto soccorso a causa di una piccola emorragia interna, che comportava un forte mal di pancia e piccole perdite.

Dopo aver rivelato i sintomi all’ostetrica le è stato chiesto se fosse vaccinata o se avesse fatto il tampone. La donna era vaccinata con due dosi (in attesa del booster) ma al momento non aveva fatto alcun tampone.

A causa dell’esponenziale amento dei contagi che si è verificato nelle ultime settimane, il reparto di ginecologia ha deciso di monitorare e filtrare tutte le visite, al punto che il medico si è rifiutato di visitare la donna in assenza di un tampone molecolare negativo, con la risposta che prima di lunedì sarebbe stato impossibile effettuarne uno e le hanno raccomandato di ripresentarsi immediatamente qualora l’emorragia fosse peggiorata.

Così la donna, accompagnata dal maritom è ritornata al parcheggio e all’improvviso l’emorragia è degenerata in un aborto spontaneo e la donna purtroppo ha perso il bambino.

Un sogno che la giovane donna portava avanti da cinque lunghi anni, che improvvisamente è svanito nel peggior incubo. Un evento tragico che purtroppo sarebbe accaduto quasi certamente anche con l’aiuto dei medici, considerando il breve arco di tempo in cui tutto è successo.

Ciò che lascia l’amaro in bocca è però la scarsa empatia mostrata dai medici di fronte a una donna in difficoltà, che in una situazione così tragica come l’aborto spontaneo avrebbe avuto bisogno di empatia e di umanità, e soprattutto di cure, eppure è stata abbandonata in estrema solitudine nel parcheggio della struttura, come un’untrice. E’ anche vero che la situazione era imprevedibile, ma il succo della vicenda ci fa comprendere come la pandemia oltre al distanziamento sociale, abbia allontanato anche le relazioni umane.

“Dobbiamo proteggere le altre donne ricoverate in attesa di partorire. La paziente ha parlato di una lieve perdita e di dolori addominali, una situazione purtroppo frequente a 3-4 settimane di gravidanza e gestibile da casa. La nostra raccomandazione è stata di tornare qualora l’emorragia fosse peggiorata. Noi vorremmo poter visitare tutti come prima, ma dobbiamo preservare il reparto” si è giustificato il primario di ginecologia Giampiero Capobianco. 

“Una persona che si presenta in pronto soccorso dicendo che sta male va visitata, punto. E se serve un tampone glielo si fa lì, dove sennò?[…] Questa storia racconta cosa siamo diventati: l’emergenza perenne che ci sta mangiando la testa e il cuore. Sono due anni che la paura del contagio domina ogni nostro pensiero, cancellando tutto il resto, e tutto il resto si chiama vita ha commentato invece Massimo Gramellini sul Corriere della Sera.

Parole profonde che fanno riflettere su come la pandemia, anziché renderci più umani come speravamo all’inizio, per certi versi ci stia allontanando sempre di più, offuscati dalla paura più che comprensibile del contagio, che però rischia di prendere il dominio su di noi, a tal punto da divenire una sorta di muro tra noi e gli altri.

Eppure le relazioni umane per funzionare al meglio hanno bisogno di ponti di empatia e comprensione che ci uniscano gli uni agli altri, non certamente di muri che dividono.

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