03/11/2016

Sì alla famiglia e NO al referendum: eccovi le ragioni (4)

“Dalla decostruzione della famiglia alla disintegrazione dei corpi intermedi della società” è il titolo di una pubblicazione dell’Associazione Generazione Famiglia, a cura dell’avvocato Simone Pillon, che ci ha gentilemente concesso di condividere con i Lettori di ProVita “le ragioni per il NO al referendum costituzionale”.

Anche a questa quarta parte dobbiamo premettere una raccomandazione: per questo tipo di referendum la Costituzione non prevede alcun  quorum. E’ quindi indispensabile andare a votare. Se per ipotesi assurda si recassero alle urne solo 4 persone, sarebbero quelle 4 a decidere – a maggioranza – se la riforma Renzi passa  (votando SI’), o non passa (votando NO).

Qui i link alle parti precedenti: prima, seconda, terza.

L’articolo 28 della riforma Boschi Renzi

prevede la soppressione del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL).

Si tratta di una struttura di confronto tra partiti, realtà produttive, mondo del sindacato e dell’imprenditoria. Per il vero da tempo i lavori del CNEL sono sostanzialmente sospesi. In ogni caso, però, la partecipazione al CNEL è a titolo gratuito e dunque non sarà ricavato alcun risparmio da tale soppressione.

Si risparmierebbero 20 milioni di Euro all’anno? No finché non verranno licenziati i 90 dipendenti che – invece – ovviamente, saranno riassorbiti dai ministeri di provenienza, senza alcun risparmio effettivo.

Sono preziosi e andrebbero incentivati e non soppressi i luoghi di confronto strategico tra le varie formazioni sociali senza i condizionamenti delle posizioni politiche.

Negli articoli da 29 a 36 verranno soppresse le province.

Verrà soppresso il federalismo. Le regioni perderanno la potestà legislativa concorrente e vedranno limitata la potestà legislativa esclusiva a pochissime materie di limitata importanza (minoranze linguistiche, mobilità interna, attività culturali locali, promozione locale turismo)

In ogni caso il Governo centrale potrà intervenire anche in queste materie invocando l’interesse nazionale, cioè ogni volta che vorrà.

Il Governo centrale potrà poi decidere di escludere dalle loro funzioni i presidenti delle regioni.

Si semplificherebbe la funzione amministrativa? Si risparmierebbe denaro pubblico?

NO: le regioni cessano di esistere quali enti autonomi dotati di potestà legislativa e indirizzo politico, e diventano meri esecutori locali degli ordini del Governo centrale.

Ogni rappresentanza autonoma delle comunità territoriali regionali e provinciali verrà spazzata via dalla riforma.

Il centro unico del potere nazionale tornerà ad essere Roma, con ogni conseguenza in ordine alla distanza dei entri decisionali dal territorio e alla impossibilità del controllo diretto da parte dei cittadini; verrà meno ogni forma di sussidiarietà orizzontale e verticale tra comunità locali e Stato centrale.

Il risparmio dell’abolizione delle province è di 78 milioni di euro pari a 1,30 euro all’anno a testa...

 Si dovrebbe e si potrebbe lavorare sulla lotta gli sprechi e sul controllo della spesa senza incidere sulla rappresentanza locale, mantenendo la sussidiarietà e il decentramento del potere nonché l’autonomia delle comunità locali.

Il federalismo va incentivato e non soffocato.

Sul tema del federalismo e della sussidiarietà vanno spesi anche altri argomenti. In particolare è bene ricordare che proprio la questione delle comunità regionali fu al centro della battaglia politica di don Sturzo, che in ogni modo sollevò il tema e promosse le autonomie regionali.

Le resistenze centraliste furono molteplici, ad opera soprattutto dei liberali (Nitti e Orlando), dei socialisti (Nenni) e dei comunisti (Togliatti).
Fu solo nel 1970 che si riuscì ad attuare il decentramento regionale e nel 2001 un autentico regionalismo federale.

È vero che la legislazione concorrente stato-regioni ha causato numerosi ricorsi alla Corte Costituzionale per la rispettiva definizione degli ambiti, ma è altrettanto vero che ormai le specifiche funzioni legislative sono ormai equilibrate e stabilizzate. Metter mano ora in
senso peggiorativo porterà ad una massiccia involuzione della sussidiarietà, un rinnovato centralismo oligarchico e una nuova stagione di ricorsi alla Consulta, oltre a tradire definitivamente gli ideali di Sturzo e della dottrina sociale della Chiesa Cattolica che da sempre ha posto l’accento sulla sussidiarietà orizzontale e verticale.

Il potere rischia così di allontanarsi definitivamente dalla gente.

La riforma lascia al contrario irrisolto il nodo – ben più significativo per quanto attiene alla sovranità – della permeabilità del nostro ordinamento a norme sovranazionali provenienti dall’Unione Europea e che spesso sono in contrasto con la storia, le tradizioni, la cultura e talora con la legislazione del nostro Paese.

Negli articoli da 37 a 41

si prevede una modifica alla nomina dei giudici della Corte Costituzionale e un meccanismo provvisorio di nomina dei senatori, senza prevedere alcuna quota di garanzia per le minoranze.

Tratto alla pubblicazione sul NO al referendum a cura dell’avv. Simone Pillon

Qui i link alle parti successive: quinta, sesta.


#STOPuteroinaffitto: firma e fai firmare  qui la petizione contro l’inerzia delle autorità di fronte alla mercificazione delle donne e dei bambini

 

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