18/08/2020

Settimana più, settimana meno

 In Italia l'aborto è legale  prima e dopo il 90° giorno: ma a partire da che data?
 
Legge 194 del 1978, quella sull'aborto: tutti gli italiani la conoscono di nome; pochi, molto pochi - anche fra gli addetti ai lavori - l'hanno letta e capita per davvero.
Tra le varie definizioni che se ne possono dare, a seconda dei punti di vista, una possibile è: «Sintesi diabolicamente ponderata tra il movimento di liberazione femminista di matrice leninista e quintessenza dell'ideale nazista di purezza della specie».
Infatti, la Legge 194 distingue l'accesso all'aborto legale in due fasi, prima e dopo il novantesimo giorno di gravidanza, laddove la richiesta di abortire prima dei 90 giorni può essere motivata da qualsiasi causa e quindi in pratica è aborto on demand, affinché la donna possa liberarsi della gravidanza indesiderata (cioè del figlio) esattamente come prevedeva la norma russa di inizio novecento per la "liberazione della donna lavoratrice"; mentre dopo i 90 giorni fondamentalmente si abortisce perché il bimbo ha qualche problema di salute, una malformazione o una sindrome genetica, che lo rende degno di essere soppresso, e qui credo che la matrice nazista sia evidente a tutti.
In realtà, sia nell'uno che nell'altro caso, la legge, a prescindere da qualsiasi motivazione o situazione contingente, consente l'aborto legale solo se viene certificato da un medico il rischio per la salute della donna, rischio che deve essere «grave» nei primi novanta giorni e «molto grave» dopo. Questo è un aspetto cruciale della questione, che troppo banalmente viene ignorato, perché mette al centro la responsabilità e la professionalità del medico, il quale è chiamato a certificare un rischio per la salute della donna che nella pressoché totalità dei casi non sussiste; anzi, vale l'esatto contrario: è l'aborto che da un parte uccide il figlio e dall'altra minaccia la salute della madre. E quindi il medico che autorizza l'aborto, e poi quello che lo pratica agiscono palesemente contro scienza e contro coscienza, dando seguito alla più tragica fake news della storia della medicina e dell'umanità: che la gravidanza o la maternità siano una minaccia e che l'aborto possa essere una soluzione. Se domattina tutti i medici d'Italia si svegliassero con la consapevolezza di poter autorizzare un aborto solo se documentano un serio pericolo per la salute della donna, per far fronte al quale l'unica soluzione sarebbe l'aborto stesso, proprio secondo il dettato della legge, allora cesserebbero d'un tratto tutti gli aborti legali in Italia, poiché nessun medico in scienza e coscienza potrebbe mai dichiarare una simile assurdità.   
Che le cose poi stiano effettivamente così si evince in maniera lampante dalla sentenza della Corte costituzionale del 1975, la numero 27, quella che permise la promulgazione tre anni dopo della Legge 194, e che rappresenta un capolavoro, per modo di dire, della banalità del male nel momento in cui conclude che «non esiste equivalenza fra il diritto alla salute proprio di chi è già persona, come la madre, e la salvaguardia dell'embrione, che persona deve ancora diventare». La sentenza, che pare scritta da Hitler in persona poiché si arroga l'arbitrio di decidere quale essere umano sia persona e quale no, tuttavia pone come criterio e limite invalicabile la salute, proprio come si diceva poc'anzi.
La domanda da un milione di dollari sorge quindi spontanea: perché nessuno, in primis il Ministero, non fa nulla, nessuna indagine, nessuna direttiva, nessun protocollo per accertare, dinanzi alla carneficina di bambini nel grembo materno, che il criterio della salute sia rigorosamente rispettato? Perché quando si ha a che fare con la Legge 194 e l'aborto, al buon senso, alla logica e al rigore è solitamente riservato lo stesso destino che tocca al bambino.
Ed ecco infatti un altro aspetto, meno generale e più specifico, che rappresenta un retroscena agghiacciante perpetrato con la connivenza del Ministero. Prendiamo gli ultimi dati Istat disponibili, quelli riguardanti il 2018, e apprendiamo che dei 76.044 aborti procurati, 3.041 sono classificati oltre i 90 giorni, mentre i bambini abortiti con malformazioni ammontano a 3.878. Fin qui i conti, nella loro freddezza, tornano, perché significa semplicemente che 837 bambini sono stati abortiti per malformazioni diagnosticate prima dello scadere del novantesimo giorno. Ma poi scopriamo che il limite del novantesimo giorno viene calcolato come "età gestazionale" e non come "periodo di amenorrea", come invece sarebbe corretto. 
Che cosa significa questo? La gravidanza per convenzione universale si misura a partire dal primo giorno dell'ultima mestruazione, perché questa rappresenta l'unica data certa, e si parla perciò di "periodo di amenorrea", infatti tutti sanno che mediamente una gravidanza dura 40 settimane (280 giorni), contando a partire appunto dal primo giorno dell'ultima mestruazione. Invece l'età gestazionale è l'età del bambino (embrione/feto) dal momento del concepimento, la cui evoluzione può essere seguita tramite l'ecografia. Ora, il concepimento avviene in media circa due settimane dopo l'ultima mestruazione e quindi l'età gestazionale differisce dal periodo di amenorrea di circa due settimane in meno, cioè l'età gestazionale parte due settimane dopo del periodo di amenorrea. Se ne deduce che se il medico che procura l'aborto considera il limite del novantesimo giorno basandosi sull'età gestazionale, invece che sul periodo di amenorrea come correttamente dovrebbe, sforerà di fatto di due settimane questo limite legale. Ed è proprio ciò che di fatto accade! I dati Istat relativi all'anno 2018 ci dicono infatti che considerando invece il periodo di amenorrea, gli aborti superiori alle 12 settimane + 6 giorni (corrispondenti al novantesimo giorno) sono stati 4.055, ovvero 1.014 in più rispetto a quelli ufficialmente classificati come oltre il novantesimo giorno (3.041). Anche se ammettiamo che 837 di questi sarebbero stati comunque abortiti perché aventi una certa malformazione (fatto però tutt'altro che scontato), restano comunque 177 bambini sani che sono stati abortiti oltre il limite temporale di legge a causa di una spregiudicata applicazione della norma.
Pensate che qualcuno di coloro che hanno il gravissimo dovere di sorvegliare sull'applicazione della legge si scandalizzerà per questo? Difficile illudersi a riguardo, se consideriamo che le solite tabelle Istat ci informano che nel 2018 una giovane donna è morta sotto i ferri del medico che doveva uccidere (solo) il bambino da abortire legalmente (ma nessuno ne parla!), e che dei 76.044 aborti totali, ben 2.156 sono stati procurati senza che venisse comunicata affatto l'epoca di gravidanza; sarebbe scandaloso anche solo per uno, ma sono 2.156, duemilacentocinquantasei bambini che sono stati abortiti e non è dato sapere a quale età, magari ben oltre il terzo mese!
I numeri ci sono (quasi) tutti! Chi ha responsabilità dovrà fare i conti...
 
Roberto Festa
 
Fonte: Notizie Pro Vita & Famiglia, n.85, maggio 2020
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