30/03/2021 di Jacopo Coghe

Senza natalità il Recovery Plan pensa ad un futuro… senza futuro

Manca poco più di un mese alla fatidica data del 30 aprile, ovvero la deadline stabilita dall’Europa per la presentazione alla Commissione europea della versione definitiva del Recovery Plan. In realtà nei giorni scorsi i tempi per presentare la strategia su come usare i fondi previsti dal Recovery Fund sono diventati più flessibili e proprio l’Italia molto probabilmente usufruirà di questa flessibilità, così come certamente farà l’Olanda, che nei giorni scorsi è tornata alla urne per il rinnovo del governo.

Più tempo, dunque, ma già da molti mesi si parla, con non poche polemiche, dei fondi europei e soprattutto della strategia italiana su come suddividere e utilizzare questa vera e propria montagna di soldi. Un tempo, quello che ancora manca, che però purtroppo non sembra destinato a far cambiare rotta al nuovo governo capitanato da Mario Draghi, che non sembra avere nessuna intenzione di inserire in questa strategia un aspetto che invece appare fondamentale e indispensabile per il futuro del paese: la natalità.

Il Recovery Fund, infatti, in realtà è il termine “improprio” con cui viene definito lo strumento del Next Generation Eu, ovvero il piano da 750 miliardi complessivi con cui, per la prima volta nella storia, i Paesi membri dell’Unione Europea hanno deciso di fare debito comune e così finanziare le politiche per uscire dalla crisi economica generata dalla pandemia da Covid-19. Dunque una misura che mira letteralmente alle generazioni future e al futuro e che prevede per l’Italia lo stanziamento di oltre 65 miliardi di sovvenzioni a fondo perduto che nel totale diventano di circa 209 miliardi, ripartiti in 81,4 miliardi in sussidi e 127,4 miliardi in prestiti. 

Quello che però far storcere e non poco il naso è la strategia che con molta probabilità adotterà l’Italia per ripartire questi fondi, complici anche i paletti imposti da Bruxelles. In cima alla lista dei settori maggiormente finanziati, infatti, ci sono e ci saranno l’ambiente, la digitalizzazione del Paese, l’avanzamento del 5G e la sanità. Dopodiché, con percentuali sporadiche o quasi inesistenti, tutti gli altri settori per la crescita economica, ma nessun accenno o quasi per aiutare le famiglie e soprattutto la natalità.

Il Recovery Plan italiano, infatti – recependo le indicazioni europee – assegna ben 80 miliardi alla transizione green (il 40,8% dei fondi) e circa 45 miliardi al digitale (il 23% dei fondi). Agli altri settori viene lasciato appena il 36% dei soldi. Finanze che saranno usate soprattutto per le infrastrutture, per la sanità (circa 19,7 miliardi per quest’ultima) e l’estensione di alcune tratte ferroviarie. L’attenzione italiana si concentra poi sul miglioramento dell’accessibilità, il rafforzamento dell’assistenza a lungo termine e l’ampliamento (sempre nel settore sanitario) alle specializzazioni in medicina.

Come si può vedere, dunque, nessun accenno ad un uso massiccio di fondi per le famiglie, per i bambini e, appunto, per la natalità. La bozza prevede alcune politiche per gli asili nido, l’educazione e la ricostruzione e il rafforzamento delle case, ma è completamente assente la questione demografica, dunque nessuno sforzo verrà fatto per contrastare la denatalità imperante in Italia, da molti anni ampiamente al di sotto dei tassi standard che qualunque paese dovrebbe avere per guardare ad un futuro pieno di bambini e giovani.

Viene da chiedersi, dunque, qual è il senso di un piano che, con una montagna di soldi, dice di essere rivolto alle “Next Generations”, ma poi non prevede niente per far sì che proprio queste nuove generazioni possano davvero esistere e venire al mondo. Quale il senso, dunque, e la coerenza di pensare al futuro del Paese senza però pensare che il futuro stesso, ovvero le persone, non è per niente scontato.

Un piano a lungo termine, quindi, che pensa a tutto, tranne che alla questione fondamentale: l’avvenire. Un piano inutile e fine e se stesso, almeno con queste prerogative. Servirà infatti a poco investire sul green e la digitalizzazione per costruire un mondo futuro più sano e più dinamico, se il mondo – e l’Italia - sarà presto popolato da pochissimi giovani.

 

Articolo già pubblicato su Panorama.it

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