12/12/2019

Sanna Marin nuova “idola”. Ma la Finlandia pensi alla denatalità

In questi giorni è festa, sulla grande stampa, per Sanna Marin, la neopremier finlandese incensata con un entusiasmo visto raramente. Prendiamo per esempio un articolo di Repubblica, che esordisce così: «Lauree e dottorati d'acciaio, un sorriso acqua e sapone, figlia di due mamme e 34enne felice madre della bimba avuta con il compagno Markus Räikkonen, Sanna Marin è il personaggio del momento, il volto della speranza». «Lauree e dottorati d'acciaio, un sorriso acqua e sapone […] il volto della speranza»: se non stessimo leggendo un giornale notoriamente laico, potrebbe venire anche il dubbio che non si stia parlando di una donna, ma di una santa.

In effetti, la Marin ha una qualità che la rende una sorta di santa laica, per così dire, e cioè l’essere «figlia di due mamme», dunque icona perfetta per il mondo Lgbt. In realtà, la donna – com’è ovvio – non è affatto «figlia di due mamme». Semplicemente, è stata cresciuta dalla madre con la nuova compagna dopo il divorzio. «Figlia di due mamme» è pertanto solo una discutibile licenza poetica dei media, sempre pronti ad intonare ritornelli pro arcobaleno.

D’altronde, la Marin stessa non solo non ha mai fatto mistero di essere stata cresciuta da «due mamme», ma si è sempre impegnata per promuovere le istanze Lgbt. Si possono a questo riguardo ricordare le sue peraltro ripetute partecipazioni ai gay pride finlandesi in compagnia della figlia Emma Amalia Marin. C’è di più: la Marin ha dichiarato che essere figlia di una «famiglia arcobaleno» è una caratteristica fondamentale della sua personalità e della sua ideologia. Se dunque da un lato è vero che i media, se possono sposare l’agenda arcobaleno lo fanno ben volentieri, dall’altro è altrettanto chiaro come la neopremier finlandese si presti perfettamente a questo genere di narrazione.

E pensare che la Finlandia, da anni, ha un problema ben più grave di quello dei cosiddetti diritti arcobaleno, ossia la denatalità. Proprio così: anche il Paese nordico, che nell’immaginario di tutti fa rima con perfetta efficienza, è nel pieno inverno demografico. Basti qui dire che è passato dai 2,72 figli per donna del 1960 agli 1,65 del 2016, valore leggermente meglio di quello italiano ma comunque disastroso, se si considera che la soglia che assicura il futuro ad una comunità è, come noto, il tasso di sostituzione, pari a 2,1 figli per donna. Non solo.

In Finlandia non possono neppure, per incentivare la natalità, giocarsi la carta del welfare. Per un motivo molto semplice: l’hanno già fatto. Una vita fa, per giunta. Sì, perché da quelle parti è  dal 1938 che, alle donne in attesa di partorire, arriva un “pacco neonatale” contenente davvero di tutto (vestitini, copertina, un completino pesante, cuffiette, calzini, un set di lenzuola, uno per l’igiene del bambino completo di spazzolino da denti e forbicine per le unghie, materasso e bavaglino) e che, spesso, è pure la prima culla dei figli. Ciò nonostante, come si ricordava poc’anzi, l’inverno demografico è quanto mai rigido.

Ebbene, davanti a tutto questo buon senso vorrebbe che, anziché brindare ad una neopremier «figlia di due mamme» - che oltretutto tale non è affatto, come si è visto –, si ragionasse su come stimolare la natalità. Uno stimolo che, nel caso di un welfare come quello finlandese, non può essere materiale – essendo su questo versante già assicurato -, ma culturale. Ma che cultura per la vita e per la famiglia può incentivare un Paese imbrigliato nel politicamente corretto e avvolto nella bandiera arcobaleno? E’ questo il punto su cui la Finlandia dovrebbe interrogarsi. Altro che «lauree e dottorati d'acciaio» e «sorriso acqua e sapone».

 

 

di Giuliano Guzzo

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