28/05/2021 di Luca Marcolivio

Rapporto legge 194/78, Martinolli: «Smascherare meccanismi di anestetizzazione collettiva»

Anestetizzazione culturale, minimizzazione delle complicanze, manipolazione semantica. Quello che è accaduto in Italia, in 43 anni di aborto legale, è una vera e propria nemesi della legge 194/78. Tutti gli obiettivi di “contenimento” che quella legge si era prefissata al momento della sua approvazione, sono clamorosamente falliti e, a conti fatti, non c’è più alcun dubbio: l’obiettivo finale è il controllo demografico. Pro Vita & Famiglia ne ha parlato con Stefano Martinolli, Dirigente medico presso l’Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano Isontina a Trieste, uno dei principali artefici del primo rapporto sui costi di applicazione della legge 194/78, realizzato in collaborazione, tra gli altri, di Pro Vita & Famiglia.

 

Dottor Martinolli, lunedì scorso, alla presentazione del rapporto, avete parlato in modo esplicito di fallimento della legge 194/1978. Sotto quali profili, in particolare, non ha funzionato?

«Indubbiamente, in origine, questa legge si proponeva come antitetica a qualunque pensiero di tipo denatalistico e l’aborto era concepito come un’“ultima spiaggia”, in situazioni psico-fisiche particolarmente disastrose per la donna. C’è un contrasto stridente tra gli annunci della propaganda ideologica e la realtà cruda dell’aborto, con cui ci siamo misurati nel nostro rapporto. E questa realtà si concretizza in un aborto che viene effettuato con sempre maggiore disinvoltura, anche grazie all’introduzione della pillola abortiva, per semplificare e “privatizzare” l’aborto. Il secondo aspetto interessante è l’assenza della figura del padre nella legge 194, fallita anche per aver demoralizzato gli uomini, ridotti a figure fantasma, senza possibilità di intervenire nelle decisioni finali.

Il terzo punto si concretizza nella banalizzazione dell’aborto, di cui, proprio in virtù di questa “privatizzazione”, si finisce per occultarne i numeri. Il Ministro Speranza aveva parlato di minori costi, in caso di ricorso all’aborto chimico, ma non siamo in grado di confermare questa affermazione. Tra l’altro, tranne la Ru486, tutte le pillole abortive, sono prodotti da banco, per cui non serve nemmeno la ricetta medica. Ciò significa banalizzare l’azione dell’aborto e banalizzare anche il bambino che diventa una figura evanescente. Dall’ultima relazione ministeriale, è emerso un fatto incontrovertibile: gli aborti clandestini si attestano tra gli 11mila e i 13mila. Ecco, dunque, un ulteriore fallimento: l’exploit di quell’aborto clandestino, che le femministe di mezzo secolo fa dicevano di voler combattere. Quarto fattore fallimentare: la diagnosi prenatale sta aumentando in maniera vertiginosa, oltretutto con un dispendio sanitario non da poco. Con un aumento del 200% delle diagnosi prenatali, possiamo immaginarci quanto saranno ingenti i costi della sanità pubblica per non far nascere un figlio. Quinto e ultimo punto: l’apoteosi dell’aborto eugenetico, con la soppressione dei feti disabili. Sei miliardi che, come giustamente ha detto lunedì scorso il professor Rocchi, sono stati spesi per qualcosa di improduttivo. Se elimino un bambino, elimino un cittadino. Quando si parla di inverno demografico, penso che nessuno si sia mai messo seriamente a valutare quanto gli aborti abbiano inciso sull’inverno demografico».

Ci troviamo, a questo punto a un bivio: iniziare ad applicare gli articoli “preventivi” della 194 o superare definitivamente la cultura da cui ha preso origine la legge?

«Negli USA sta accadendo qualcosa di molto interessante. A livello nazionale, la Corte Suprema sta valutando una revisione della sentenza Roe vs. Wade, mentre alcuni stati stanno rivedendo in senso restrittivo le loro leggi sull’aborto, ponendo dei paletti e delle osservazioni critiche. La realtà italiana è un po’ diversa. Per anni, il Movimento per la Vita si era battuto – e giustamente – per l’applicazione della parte preventiva, che però non ha mai funzionato. Quegli articoli, di fatto, sono serviti a nascondere ciò che invece è l’anima stessa dell’aborto: la soppressione di un essere umano e il controllo delle nascite».

Il rapporto analizza a fondo i risvolti dell’aborto chimico-farmacologico: per quale motivo, a suo avviso, il pensiero dominante tende a tacere sulle conseguenze (ancor più devastanti di quelle dell’aborto chirurgico) di questa pratica sulla donna?

«L’aborto è traumatico per tutti: per le donne, per i medici, per gli psicologi. Molti medici fanno obiezione di coscienza proprio a causa delle scene terribili che vedono. Perché l’aborto si diffonda, bisogna creare un meccanismo di anestetizzazione collettiva. Vi sono vari metodi finalizzati a questo scopo. Uno di questi è rendere “meno umano”, il bambino che viene eliminato. La stessa Rita Levi Montalcini definiva l’embrione un grumo di cellule, mentre secondo Umberto Veronesi, prima dell’ottava settimana, non può essere considerato un essere umano, perché manca il sistema nervoso. Come diceva il compianto cardinale Elio Sgreccia nel suo celebre Manuale di Bioetica, si vuole eliminare l’immagine dell’essere umano. Tutto questo viene anestesizzato ed eliminato. Il secondo aspetto è squisitamente medico, visto che, nell’aborto chimico, le complicazioni sono più significative rispetto alla procedura chirurgica. Il terzo aspetto è nella manipolazione semantica. In primo luogo, non si parla di aborto ma di interruzione volontaria di gravidanza. Oppure si parla di aborto terapeutico come se il bambino fosse un male da curare. Anche in questo caso, si tende a distogliere l’attenzione dal fatto traumatico dell’aborto. Attraverso il gioco semantico, si fa credere alle donne che sia una procedura insignificante, quasi come prendere un farmaco per la gastrite. Ovviamente non è così, ci sono dati che confermano si tratta dell’uccisione di un essere umano. Penso anche alla campagna di Pro Vita & Famiglia, che ha dato fastidio ed è stata censurata, proprio perché ha fatto vedere cos’è un embrione. Se facciamo vedere l’elenco delle complicazioni del post-aborto, mostrando le percentuali in maniera rigorosa, ci accusano di essere aggressivi e negativi e di voler togliere i diritti alle donne. Attraverso questa neolingua e altri procedimenti pianificati, sono riusciti a introdurre una mentalità contraccettiva e abortiva, alla quale, come abbiamo fatto noi con il rapporto, si risponde con i fatti. È l’inizio di una battaglia che a me sembra molto interessante».

 

 

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