Sta facendo discutere la decisione dell’Istat di introdurre - a partire dallo scorso 1° aprile 2025 - un codice ATECO per quelle che da molta stampa progressista sono definite “sex worker”, ma che in realtà sono le persone che compiono “attività” - se così le si vuole, con una forzatura, definire - nell’ambito della prostituzione. L’Istat, infatti, ha introdotto un nuovo codice nella classificazione delle attività economiche, con la dicitura "Servizi di incontro ed eventi simili". Questo codice comprende attività come quelle di accompagnatori e accompagnatrici (le cosiddette escort), agenzie di incontro e matrimoniali, nonché la fornitura o organizzazione di servizi sessuali e la gestione di locali di prostituzione e consente a questi “lavoratori” (sic.) di aprire una Partita IVA.
La prostituzione è illegale in Italia?
In realtà in Italia - cosa che in pochi sanno - la prostituzione non è considerata un reato. Una persona adulta, infatti, che decide volontariamente di offrire prestazioni sessuali in cambio di denaro non infrange la legge. Sembra assurdo, ma questo abominio morale ed etico è consentito. Tuttavia, l'attività non è regolamentata come una professione riconosciuta - almeno prima di questa novità dell’Istat - e non gode di quelle che progressisti e radicali vorrebbero fosse delle “tutele lavorative o previdenziali specifiche”. La Legge Merlin del 1958 abolì le "case chiuse" e introdusse il divieto di qualsiasi forma di sfruttamento o favoreggiamento della prostituzione. Pertanto, mentre l'atto in sé non è illegale, sono punibili per legge le seguenti condotte: sfruttamento, favoreggiamento, gestione di luoghi destinati alla prostituzione e prostituzione minorile. Inoltre, l'adescamento in luoghi pubblici può essere sanzionato come offesa al pudore o invito al libertinaggio. La novità introdotta dall’Istat non implica una piena legalizzazione o regolamentazione della prostituzione come professione riconosciuta, ma è certamente una forte - e abbastanza indebita - spinta in tal senso.
Perché è una decisione assurda e pericolosa
Non solo è una forte spinta verso una sorta di riconoscimento, ma è anche una scelta nei confronti di una “attività” che contrasta apertamente con la dignità umana, con il bene comune e con ogni autentica visione della donna come persona da proteggere e promuovere e non da ridurre a mezzo di piacere o oggetto di profitto. Ecco perché.
Innanzitutto la prostituzione non è un lavoro: è la mercificazione del corpo. Tassare e regolamentare la prostituzione significa accettare che il corpo umano sia oggetto di commercio. Lo Stato – che dovrebbe difendere la dignità di ogni persona – finisce così per legittimare uno dei peggiori volti della cultura dello scarto, dove tutto può essere comprato, anche l’intimità.
Non si tutela chi è sfruttato: si aiuta chi sfrutta. La narrazione che presenta la prostituzione come “libera scelta” è una bugia colossale. Dietro la stragrande maggioranza dei casi ci sono tratta, coercizione, violenza, droga, povertà e ricatto. Formalizzare fiscalmente questa attività vuol dire dare strumenti legali a chi lucra sulla sofferenza altrui.
Messaggio diseducativo ai giovani: il corpo vale solo se venduto? Questa decisione istituzionale trasmette un messaggio devastante alle nuove generazioni, soprattutto alle ragazze più fragili: vendere il proprio corpo è un mestiere come un altro. Un’idea profondamente diseducativa, che mina le basi stesse dell’educazione affettiva, del rispetto e della relazione.
Lo Stato tradisce la sua missione. Lo Stato – secondo la nostra Costituzione – dovrebbe promuovere le condizioni per una vita pienamente umana, tutelare la donna e prevenire ogni forma di violenza. Legalizzare sotto banco la prostituzione significa rinnegare la propria vocazione a servizio della persona per trasformarsi in complice della sua umiliazione.
Invece di aiutare a uscire, si accetta di incatenare. Ciò che serve non sono codici fiscali, ma percorsi concreti per aiutare queste donne a uscire dal giro della prostituzione. Serve una rete di sostegno, educazione, lavoro vero, aiuto psicologico, accompagnamento sociale. Lo Stato, invece, sceglie la via più facile e più vile: voltarsi dall’altra parte e incassare denaro.