24/04/2025 di Fabio Piemonte

Intervista a Michael Galster, presidente di “Agapo-T” (Associazione di Genitori e Amici di Persone Omosessuali e Transessuali)

Michael Galster - papà di origine tedesca che vive a Milano ormai da cinquant’anni con due figli, di cui uno prima omosessuale e successivamente transgender – è tra i fondatori di Agapo-T (associazione di genitori e amici di persone omosessuali e transessuali), una rete di famiglie che fa «dell’accoglienza dei genitori di persone omosessuali e transessuali la sua ragion d’essere», ma senza il minimo cedimento all’ideologia gender e LGBT. Attualmente, Agapo-T è impegnata nell’animazione di un gruppo di incontro di genitori di figli omosessuali o transessuali della Diocesi di Milano. Pro Vita & Famiglia lo ha intervistato per approfondire tale realtà, che costituisce senza dubbio un’alternativa preziosa al pensiero mainstream e alle pressioni ideologiche su questi argomenti.

Quando e con quale finalità nasce Agapo-T?

«Nel 2006, dall’incontro di tre coppie di genitori con figli che manifestavano tendenze omosessuali, nasce l’idea di costituire un’associazione. Una volta realizzato il sito (www.agapo.net), attira da subito molte richieste in rete, per cui sono in molti genitori a iscriversi. La finalità principale è quella di dare ascolto ai genitori in modo che ne possano parlare, superare la solitudine e il disagio, riguadagnando serenità e fiducia. La fede non è un prerequisito ma le nostre riflessioni in materia di omosessualità sono ancorate alla verità antropologica sull’uomo e la donna, che trova conferma sia sul piano scientifico che su quello dottrinale e morale. In questa prospettiva, Agapo-T elabora e organizza percorsi di accompagnamento rivolti ai genitori, le cui esperienze di madri e padri sono state oggetto di articoli pubblicati da Avvenire. Negli ultimi anni sentiamo molto di più la necessità di affrontare questi temi in ambito ecclesiale, anche perché ci sembra stia crescendo il rischio di confusione».

Quanti sono i membri di Agapo-T?

«I soci attivi sono una quarantina. Il quartier generale è a Milano, ma vi sono soci a Torino, Roma e in altre parti d’Italia. Nel corso degli anni abbiamo avuto alcune centinaia di richieste. Generalmente, il primo contatto avviene tramite il sito, poi in maniera telefonica e, se lo si desidera, ci si incontra di persona. A Milano c’è un folto numero di coppie di genitori che sentono l’esigenza di incontrarsi per confrontarsi con regolarità sulle proprie esperienze familiari, oltre che per riflettere criticamente insieme sul tema. Attualmente io e mia moglie, insieme ad altre tre coppie, stiamo partecipando a un ciclo di incontri in collaborazione con la diocesi ambrosiana, di cui due online e uno in presenza al seminario di Seveso il prossimo 10 maggio».

Come considera l’acronimo ideologico “Lgbtqi+”?

«L’acronimo Lgbtqi+ è di fatto escludente perché ci sono tantissimi, sia omosessuali che transessuali, che non si riconoscono in questa sigla. Nel caso di specie, per quanto riguarda l’omosessualità, non c’è automatismo tra i sentimenti provati e i comportamenti messi in pratica. Ad esempio Lucio Dalla si rifiutava di essere etichettato come “gay”, perché si relazionava con gli altri innanzitutto come persona. Inoltre, relativamente al processo di transizione di genere tramite terapie farmacologiche o interventi chirurgici, desidero sottolineare che è in contraddizione con il primo istinto dell’uomo, ossia quello di preservare l’integrità fisica. Quando tale integrità viene intaccata attraverso i farmaci, o peggio asportando gli organi genitali, si tratta sempre di processi dalle conseguenze molto pesanti, che arrecano danni irreversibili».

Quali sono i progetti che state portando avanti e quali quelli in cantiere?

«Recentemente abbiamo attivato una newsletter tramite la piattaforma Substack (https://agapot.substack.com/), dove pubblichiamo con cadenza quindicinale articoli di attualità relativi ai temi dell’omosessualità e della transessualità, così come alle attività dell’associazione. I contenuti sono sviluppati dal punto di vista dei genitori e in piena coerenza con il Catechismo della Chiesa Cattolica, così come i corsi di formazione per adulti, condotti grazie al supporto di una pedagogista che usa il ‘metodo autobiografico’, corsi che stanno generando molti frutti positivi».

Infine, in vista del documento finale del Sinodo e delle ultime novità emerse in seno all’Assemblea sinodale, cosa auspica la sua Associazione?

«Devo confessare che sul piano pastorale c’è una tendenza a trattare questi temi in modo molto generico. Si affermano, per esempio, cose ovvie come il fatto che la tendenza omosessuale non sia sempre di per sé una patologia, che nessuna persona è sbagliata, che sul piano soggettivo gli omosessuali sono capaci di provare amore come tutti gli altri. Alla fine però l’orientamento omosessuale viene posto sullo stesso piano di quello eterosessuale e si arriva infine a sostenere che l’omosessualità non abbia nulla a che fare con la promiscuità degli ambienti gay, per cui tutto sarebbe solo ed esclusivamente una questione legata alla maturità della persona. Esprimendosi in modo così generico si tolgono però poi di fatto alle persone con tendenze omosessuali i mezzi per comprendere a fondo la propria condizione, con le conseguenze o i rischi connessi. Occorre piuttosto avere il coraggio di annunciare la verità sull’uomo e sulla differenza sessuale, cosa purtroppo spesso sottaciuta».




 
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