21/12/2022 di Luca Marcolivio

No cellulari a scuola. Crepet a Pro Vita & Famiglia: «Buone intenzioni ma le sanzioni dove sono?»

La circolare del Ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, che sollecita il non utilizzo dei cellulari nelle aule scolastiche è un buon approccio ma non è sufficiente. Così si è espresso il noto psichiatra Paolo Crepet, sollecitato sull’argomento da Pro Vita & Famiglia. Secondo Crepet sarebbero necessarie norme più specifiche (attualmente lasciate alla discrezione dei dirigenti scolastici), che rendano il divieto chiaro ed effettivo.

Professor Crepet, come valuta la circolare del Ministro Valditara che vieta l’uso dei cellulari in classe?

«Come tutti sanno, ci fu già un provvedimento analogo nel 2007, disposto dall’allora ministro Giuseppe Fioroni. Nulla di nuovo, quindi. Si prevedeva che i cellulari dovessero rimanere nelle cartelle o negli zaini. In seguito, un altro ministro ripropose una misura simile. Il problema è che, anche questa volta, la disposizione è stata fatta in maniera “voluttuaria”: intendo dire che, non essendo previsto nulla ai danni dei trasgressori, la sanzione è evidentemente demandata ai presidi. Da questo punto di vista, quindi, è una circolare di buone intenzioni, nulla di particolarmente originale. Forse sarebbe valso la pena aggiungere qualche indicazione in più, dal punto di vista del comportamento da tenere: se io prescrivo che non si può stare con il monopattino nel corridoio di una scuola, bisognerebbe anche che io dica cosa succede nel caso in cui qualcuno si presenti così. Sarebbe come se il Codice della Strada vietasse il parcheggio in doppia fila, senza però comminare alcuna multa».

Ritiene comunque sia una misura che tutela gli studenti?

«È evidente che questa misura è a tutela degli studenti. Qualsiasi strumento che favorisca la distrazione non solo non è a loro tutela ma non è nemmeno loro conveniente».

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Rimane il fatto che, durante la pandemia, i ragazzi si sono abituati ad uso ancor più smodato del cellulare…

«Dal momento che la pandemia non c’è più, ora siamo liberi di non metterci più la mascherina: se c’è stato un cambiamento in questa direzione, non vedo perché altre cose debbano rimanere».

In ogni caso, cosa può aiutare a guarire da un uso compulsivo dello smartphone?

«Questa è una cosa che mi preoccupa, perché ci sono state delle conseguenze, che abbiamo misurato concretamente. Abbiamo visto che i ragazzi e le ragazze hanno subito dei seri danni da quest’uso prolungato, per cui sicuramente bisogna fare qualcosa. Giustamente lo Stato non può dire alla famiglia Rossi cosa deve fare alle nove di sera. Lo Stato, però, può fare un’altra cosa: dire cosa fa Giovanni Rossi, quando è al liceo; questo lo può fare perché è una struttura statale, anche se fosse privata o convenzionata. Per lo stesso motivo, chiunque può girare in mutande in casa sua, ma non può farlo per strada: discipliniamo ciò che si fa in un ambiente pubblico e la scuola effettivamente è un ambiente pubblico di proprietà dello Stato, come può esserlo una strada o una piazza».

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Ritiene che l’educazione ad un uso responsabile delle tecnologie della comunicazione spetti in primo luogo alle famiglie?

«Certo. Non è, però, che un Ministro dell’Istruzione può dire: “Siccome le famiglie non vogliono divieti, allora a scuola è consentito portare casse per ascoltare musica techno”. Ci sono cose che un ministro deve fare, al di là di ciò che vuole o non vuole fare il singolo cittadino nel suo ruolo genitoriale. È evidente. Quello che il Ministero propone è nulla più che un indirizzo. Se un genitore decide che chi applica questa disposizione debba essere denunciato, potrà farlo, ma io spero che il tribunale dia ragione allo Stato. Spero che il TAR non riconosca questa sorta di “delitto”, che delitto non è…».

Questa circolare va comunque nella direzione di un rafforzamento dell’alleanza scuola-famiglia?

«Ritengo di sì, ma ritengo si poteva e si doveva fare qualcosa di più, rendendo il divieto più stringente per non lasciare troppi margini di interpretazione della norma. Sappiamo bene che, soprattutto nel contesto italiano, se le norme non sono stringenti e chiare, poi, non vengono applicate. Se vogliamo varare una norma di facciata, ci si può limitare a questo. Se, però, si vuole andare un po’ oltre, forse sarebbe veramente quello di cui i nostri ragazzi hanno bisogno».

 

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