06/04/2018

No all’aborto in caso di stupro. Forte testimonianza

«Buonasera, Membri del Comitato.
Mi chiamo Jennifer Christie,
quattro anni fa, sono stata brutalmente aggredita in una stanza d’albergo – picchiata, torturata e stuprata...
il mio corpo è stato gettato nella tromba delle scale».

Queste sono le parole che una giovane ragazza, membro di Save the 1, ha pronunciato presso la sede del Campidoglio, nello Stato dell’Iowa, di fronte ai legislatori in procinto di approvare un emendamento che avrebbe legalizzato l’aborto in caso di stupro. Live Action, fornendoci questa testimonianza, ci porta nuovamente a riflettere su una questione che vede fortemente agguerriti i sostenitori dell’aborto e dei diritti della donna.

Ma qui, ancora una volta, a parlare è proprio una donna che ha vissuto questa esperienza e che parla a nome di tutte coloro che, rimaste incinte a causa di uno stupro, hanno deciso di far nascere i loro bambini.

Con estrema chiarezza, dunque, esprime le criticità di tale emendamento, dicendo: «La Corte Suprema ha già deciso che per uno stupratore l’essere punito con la morte è considerata una punizione crudele e inusuale, eppure in qualche modo... in qualche modo, siamo d’accordo ad uccidere i bambini – che non c’erano nemmeno al momento in cui il crimine è stato commesso».

Poi, continua sull’idea per cui sia meglio abortire il figlio concepito in uno stupro: «Sono qui stasera per testimoniare le bugie che ho ascoltato e le bugie che mi hanno detto: che se solo abortisci, tutto andrà bene e te ne dimenticherai. [...] Mi è stato detto così tante volte: “se solo avessi abortito, non avresti sempre questo promemoria che ti incombe sulla testa”. Questo “promemoria”... Mio figlio è un promemoria? Lo è assolutamente! È un promemoria ogni giorno che, come donne, possiamo superare le nostre vicissitudini».

Sono ormai tantissime le testimonianze di donne che, come Jennifer, hanno scelto di far nascere il proprio figlio, anche se concepito in quelle tragiche condizioni, ed ora sono felici di averlo fatto.

Quelle donne che, invece, traumatizzate dalla violenza ricevuta, hanno ceduto alle pressioni della famiglia o della società ad abortire, sono tutte concordi nell’affermare che l’aborto sia una violenza ancor più grande di quella dello stupro.

Chi, vittima di violenza, è rimasta incinta, non ha bisogno, con l’aborto, di aggiungere al dolore dello stupro un altra grave ferita, subendone, inoltre, le conseguenze. Ha bisogno, piuttosto di essere sostenuta dai suoi cari e dell’amore del piccolo che già vive dentro di lei.

Redazione


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