11/01/2022 di Anna Bonetti

Neonato abbandonato in aereo dopo il parto. Una storia che ci fa riflettere... e scoperchia le ipocrisie

Nei primi giorni di questo nuovo anno ha fatto il giro del Web la notizia di un neonato che, nel giorno di Capodanno, è stato partorito e abbandonato tra i rifiuti della toilette di un aereo diretto dal Madagascar alle isole Mauritius.

Una vicenda tragica, che per fortuna si è conclusa con la sopravvivenza del piccolo, trovato ancora vivo dallo staff della compagna aerea Air Mauritius salito a bordo per un controllo doganale e insospettito dalla carta igienica nella toilette abbondantemente macchiata di sangue.

Attualmente il piccolo è ricoverato in ospedale ed è in buone condizioni. Nel frattempo è stata fermata una 20enne malgascia diretta, appunto, alle Mauritius per accettare un contratto di lavoro di due anni. La donna ha negato di essere la madre del piccolo, ma i successivi controlli in ospedale hanno accertato che avesse appena partorito e una volta terminati gli accertamenti sarà incriminata per abbandono del piccolo.

Nulla sappiamo sulle condizioni di salute mentale o economiche di questa giovane donna e sul perché abbia compiuto un gesto così estremo. Quello che sappiamo però è che la notizia ha indignato migliaia di persone, che allo stesso tempo hanno gioito per la sopravvivenza del piccolo. Occorre sottolineare che il lieto fine di questa storia molto probabilmente è dovuto anche al fatto che in Madagascar l’aborto non è legale. Ovviamente questo non esclude il dovere di garantire a donne in difficoltà come l’artefice di questa triste vicenda un concreto aiuto morale, psicologico e quando necessario anche economico, che molto probabilmente nei paesi del terzo mondo non è facilmente garantito e che forse avrebbe evitato alla donna di pensare – e fare – un gesto così estremo.

Eppure, dall’altra parte del mondo esistono paesi spesso considerati “civilissimi” come lo Stato di New York, dove un gesto come questo è permesso dalla legge che consente di abortire fino al nono mese. Una legge secondo la quale questa donna avrebbe potuto tranquillamente liberarsi del proprio figlio e che certamente avrebbe concluso questa storia con la morte del piccolo, magari senza l’indignazione di nessuno.

E’ paradossale come da un lato il sentimento comune porti la sensibilità umana a indignarsi per questa tragica vicenda, quando allo stesso tempo si manifesta un totale disinteresse se un altro bambino al momento del parto viene ucciso “in nome della legge”. Occorre sottolineare che certamente a New York non si abortisce al nono mese per cause tragiche come la disperazione per povertà, ma è sufficiente la giustificazione di pericolo della “salute psico-fisica della donna” per ricorrere all’aborto a qualsiasi stadio della gravidanza.

In ogni caso, nessuna situazione difficile - come probabilmente lo è la storia di questa donna che sicuramente ha e aveva bisogno di essere aiutata - giustifica la morte come “soluzione” alla vita.

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