30/09/2020

Mons. Giulietti (Arcivescovo Lucca): «Con la RU486 c’è una preoccupante perdita di valori»

L’Italia, ormai lo si sa da anni, vive una profonda crisi demografica. Un’emergenza, quella della denatalità, che non sembra toccare chi invece, al contrario, continua a sostenere e incentivare l’aborto, soprattutto – come nelle ultime settimane – avanzando la possibilità di una vera e propria “privatizzazione” della pillola abortiva RU486. Pro Vita & Famiglia, sull’argomento, ha intervistato monsignor Paolo Giulietti, arcivescovo di Lucca.

 

Sulla questione relativa alla pillola RU486 un suo commento…

«Non possiamo non partire da quanto già tante volte detto in tutti questi anni, sia dalle associazioni che dall’Episcopato, ovvero che si tratta di una vera e propria privatizzazione dell’aborto che elimina e riduce le possibilità di aiutare le donne a superare le difficoltà legate che ci sono dietro una scelta come questa. Tra l’altro stiamo parlando di un aiuto espressamente previsto dalla legge 194, ma appunto in pratica mai attuato. Questa privatizzazione lascia le donne sole, non solo davanti al gesto stesso dell’aborto ma anche davanti alle conseguenze che possono essere medicalmente importanti. Non si tratta di una semplice aspirina. Inoltre è palese si tratti di una privatizzazione che fa risparmiare soldi alle casse dello Stato e segna un passo indietro della nostra sanità. Alcuni la vogliono far passare come un segno di libertà e autonomia, ma in realtà banalizza un atto di per sé drammatico e riduce tutta la vita a qualcosa di meramente individuale, senza più importanza né legami».

Si banalizza un atto come diceva lei e c’è un’attenzione che però non c’è per la pratica contraria, ovvero stare accanto alle donne. Quindi dare alle donne una seconda scelta. Cosa si dovrebbe fare invece in tal senso?

«Dovrebbe essere attuata tutta quella procedura che la stessa legge prevede e suggerisce, come per esempio colloqui, scelte di possibilità alternative. Quindi ci dovrebbe essere un atteggiamenti che non miri a trovare una scorciatoia, bensì a salvare una vita, anzi a salvarne due perché sappiamo che anche la vita di chi abortisce viene irrimediabilmente segnata. E poi è assurdo investire nell’aborto in un Paese come il nostro che soffre da anni una denatalità imperante e una crisi demografica senza precedenti. Si dovrebbe, al contrario, investire in tutto ciò che favorisce le nascite».

La questione non è solo sanitaria e psicologica, ma anche sociali. Come diceva lei in un Paese dove la denatalità è molto alta. Come si può stare accanto alle donne dal punto di vista umano?

«Direi che il problema è innanzitutto culturale. Molto spesso si tende a rappresentare la gravidanza e la nascita come un problema, come un impedimento, un ostacolo. Si tende a calcare la mano sul fatto che il figlio è un costo, è un peso, è un vero e proprio problema da affrontare con molte difficoltà. Quindi c’è una cultura che guarda al dono della Vita come ad un fatto privato e non come ad un bene per la collettività e poi che guarda a tutto ciò come ad una problematica. Nessuno, ormai, pone l’accento sul valore inestimabile della vita e sul fatto che una vita che nasce è una risorsa enorme per chiunque. Bisogna cambiare questa impostazione culturale per stare vicino alle donne. Certamente non è facile, soprattutto in questo periodo di crisi economica e sanitaria, pensare di avere e crescere un figlio, ma questo non significa debba essere un male».

 

 

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