06/08/2018

Locked-in, ma cosciente e sentiva tutto

Il Daily Mail ha pubblicato un articolo di Nikki Kenward, direttrice della campagna The Distant Voices, impegnata a migliorare le cure delle persone in fine vita e in stato vegetativo. Lei stessa si è riavuta miracolosamente (?) dopo un lungo periodo in cui ha sofferto la sindome del locked-inHa quindi autorità per parlare in nome delle persone in stato di minima coscienza o in persistente stato vegetativo, molto più di tanti radical-chic e compagnia cantante, cultori della morte e dell’eutanasia che pontificano sull’inutilità delle vite “non degne di essere vissute”.

Riportiamo i contenuti essenziali dell’articolo della Kenward: la traduzione è nostra e non è stata rivista dall’Autrice.

Il sistema giudiziario inglese sta demolendo sistematicamente la protezione per la vita dei più vulnerabili: la Corte Suprema, in una inquietante decisione storica, ha stabilito che i pazienti in stato vegetativo permanente possono essere uccisi senza alcun pronunciamento da parte di un giudice: basta che i medici e i familiari siano d’accordo.

La cosa è stata inevitabilmente acclamata dalla cosiddetta lobby pro eutanasia come un trionfo della compassione che serve a porre fine alla sofferenza delle persone intrappolate nelle “morti viventi”. Ma a mio avviso non c’è nulla di umano nel giudizio della Corte Suprema.

Naturalmente, capisco quanto emotivamente molte persone sentano sinceramente che è un gesto di pietà permettere alle persone in stato vegetativo di morire.

Ma rimuovendo i controlli legali indipendenti dai soggetti coinvolti si mette un potere inaccettabile nelle mani di medici e parenti e si mostra un disprezzo insensibile per la vita umana. Un passo avanti sulla strada dell’omicidio sancito dallo Stato.

Circa trent’anni fa, mi ritrovai improvvisamente bloccata in un’agonia angosciosa, con tutto il mio corpo paralizzato tranne che la mia palpebra destra. Se la decisione della Corte Suprema fosse stata presa prima che avessi superato la mia terrificante prova, avrei potuto essere io stessa uccisa per disidratazione e inedia.

Era il 1990: mi godevo pienamente la vita, come moglie e madre di un figlio di un anno, Alfie, e come terapeuta e docente.

Un giorno ho contratto quello che all’inizio pensavo fosse l’influenza. In realtà era la Sindrome di Guillain-Barre. Entro 24 ore ero in terapia intensiva, incapace di respirare senza un ventilatore. Mezzo cieca e priva di parola, indifesa. Eppure, ero ancora cosciente e potevo sentire le voci e provare dolore.

Ho dovuto sopportare questa condizione in ospedale per cinque mesi e sono stata in grado di comunicare solo dopo che ho imparato a sbattere la palpebra che riuscivo a muovere.

Se qualcuno mi avesse chiesto, prima che venissi colpita dal virus, se sarei stata in grado di sopportare una tale qualità di vita, avrei senz’altro detto di no. Quando poi è successo, invece, ero determinata a resistere e volevo vivere perché volevo stare con mio figlio e mio marito. Anche nell’oscurità, il mio amore per loro era la luce che mi dava uno scopo.

Quando sono stata finalmente dimessa dall’ospedale, dopo quasi sei mesi, ho passato ancora tempi difficili. Sono passati due anni prima che potessi prendere in mano una tazza di tè e mio marito ha dovuto rinunciare al lavoro per assistermi a tempo pieno.

Rimango tutt’ora su una sedia a rotelle, ma il maggiore ostacolo che ho di fronte è l’atteggiamento comune che vede le persone disabili come un peso per la società.

Tale atteggiamento sarà incentivato dal giudizio della Corte Suprema, sarà sempre più comune la gente che pensa che una vita di grave menomazione non vale la pena di essere vissuta. 

Recenti studi hanno dimostrato che di solito i pazienti locked-in, o in coma, non vogliono morire. Inoltre, i progressi della scienza hanno anche dimostrato che lo stato vegetativo permanente e la “morte cerebrale” sono spesso diagnosticate in modo errato e superficiale [per questo il punto interrogativo vicino al “miracolosamente”, all’inizio di questo post: i risvegli sono piuttosto frequenti, perché non son affatto “miracoli”, ma diagnosi errate, ndR] .

Il fatto che le persone definite “vegetali” siano in realtà senzienti, in primo luogo smonta il luogo comune della “morte dignitosa”: la morte per fame e sete è dolorosa, è una forma di lenta tortura.

In secondo luogo, visti i limiti che la scienza medica incontra in questo campo, dovremmo essere ancora più cauti nel rendere i dottori arbitri della vita e della morte delle persone. Non solo possono capitare professionisti negligenti o superficiali, ma, visto che ogni paziente in stato vegetativo permanente costa al servizio sanitario almeno 100.000 sterline l’anno, un dottore, a cui piace  giocare a sentirsi Dio, potrebbe ritenere opportuno  deviare tutti quei soldi ad altre forme di assistenza sanitaria ritenute più “utili”. L’ho sperimentato io stessa verso la fine della mia degenza in ospedale, parlando col personale che mi curava.

I parenti, poi, possono convenire per la soppressione del malato per rispetto del parere dei  professionisti, o per  l’autentica convinzione che stanno facendo del bene perché: «È quello che avrebbe voluto». Ma potrebbe subentrare l’avidità di chi si trova nell’asse ereditario del morituro.

Nel prendere la sua decisione, la Corte Suprema ha normalizzato l’omicidio di Stato.

Questa non è civiltà, ma barbarie. Non è quello che serve alla Gran Bretagna. La sentenza della Corte Suprema ha segnato un giorno oscuro per la nostra nazione.

Nikki Kenward

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