26/11/2021 di Luca Marcolivio

La senatrice Binetti (FI): «La vera applicazione della legge 194 eviterebbe molti aborti»

Per il riconoscimento della personalità giuridica del concepito, aver depositato un progetto di legge in Senato rappresenta un atto importantissimo, perché richiama una riflessione seria su molti fronti: quello giuridico, quello scientifico, quello etico. Pro Vita & Famiglia ne ha parlato con la senatrice Paola Binetti, di Forza Italia. Neuropsichiatra e bioeticista, la Binetti si è soffermata anche sulle annose problematiche interpretative della Legge 194, ribadendo che la vera chiave di volta è essenzialmente nel cambio di prospettiva sul nascituro da oggetto a soggetto titolare di diritti.

 

Senatrice Binetti, la proposta di legge che avete illustrato di recente nasce circa un quarto di secolo fa come proposta di legge popolare. Cosa vi ha motivato a rilanciarla?

«L’obiettivo era riattivare una proposta, già presentata, peraltro, anche al Parlamento Europeo, che, in qualche modo, solleva e sollecita quella che possiamo considerare l’anima stessa dell’Europa nella sfera dei diritti dei minori. Quando si parla del concepito, regna sempre molta ambiguità: da un lato, la scorsa settimana, il Parlamento ha approvato l’assegno unico, destinato anche ai nascituri, riconoscendo quindi la loro pari dignità rispetto ai fratelli già nati. Poi, però, non vogliamo assumere la responsabilità di riconoscere pienamente la capacità giuridica dei concepiti: una capacità che si concretizza non solo in questo assegno ma anche nel diritto alle cure. Prima ancora che nascano, riserviamo trattamenti straordinari ai bambini sul piano sanitario. Non si capisce perché, allora, nonostante queste best practices, non si voglia riconoscere formalmente la personalità giuridica del concepito».

Ora che è stata depositata in Senato, quale sarà il possibile iter per la proposta di legge in oggetto?

«L’ostacolo più grosso è il fatto ci troviamo alla fine della legislatura, oltretutto preceduta di un anno dall’elezione del nuovo presidente della Repubblica. Restano quindi poco più di quattordici mesi allo scioglimento delle camere: troppo poco per un processo molto articolato di approvazione com’è quello di un sistema bicamerale come il nostro. Qualcuno potrà domandarci: perché portare avanti una battaglia per la quale le probabilità di vittoria sono così ridotte? Lo facciamo perché siamo convinti si debba tenere desta la coscienza su questo tema, a prescindere dagli approcci ideologici. Dobbiamo tenere il dibattito a un livello alto, ricordando che colui che è nel grembo materno non è un “grumo di cellule” ma è già un soggetto che ha dei diritti. Tanto è vero che alcuni di questi diritti, lo Stato italiano già glieli riconosce: ora si tratta di formalizzarli. In un certo senso, più del concepito stesso, di questo riconoscimento abbiamo bisogno noi adulti, che dobbiamo riscoprirne la dignità e comportarci di conseguenza nei suoi confronti».

Nel caso in cui la proposta di legge fosse approvata, quali potrebbero essere le ripercussioni sulla Legge 194?

«Sa meglio di me che mettere in discussione la Legge 194 è un tabù, rafforzato da una serie di difese ideologiche che hanno tutte origine nel mantenere un punto di osservazione privilegiato sul diritto della donna a decidere. Con questa legge, stiamo cercando, in una logica di bilanciamento dei diritti, di considerare prioritari i diritti del concepito. Non si tratta di fare una “guerra tra poveri”. La domanda è: esiste questo diritto di decidere da parte della donna? Come si esprime questo diritto? Quali sono le sue articolazioni? Con la 194, di fatto, abbiamo un diritto che si spinge fino alla soppressione di una vita. Con questa proposta di legge, invece, colui il quale è considerato oggetto delle decisioni di una donna, viene riconosciuto come un soggetto di diritti. Sul piano culturale questo passo è molto importante».

Quali sono, dunque, i tabù intoccabili della Legge 194, che andrebbero messi in discussione?

«La Legge 194, non a caso, è denominata “legge sulla tutela sociale della maternità”. Se prendo sul serio la prima parte della legge, comprendo che in gioco non può esserci soltanto il diritto della donna e che esiste anche una responsabilità sociale, che dovrebbe indurre a evitare almeno tre tipi di aborto. I primi due sono quelli motivati da povertà o da discriminazione sul lavoro: quante volte sentiamo parlare di donne costrette a rinunciare al figlio per non perdere il proprio impiego. Il terzo è l’aborto praticato per motivi di salute: in questo ambito, sono in corso studi importanti, tra cui quelli sulle malattie rare, per avere sofisticati screening prenatali, che ci permettono di contenere i rischi cui va incontro un bambino. Quando parliamo di tutela sociale della maternità, dunque, parliamo di un sistema sanitario che si schiera dalla parte del nascituro e che assume la sua vita come un obiettivo forte da tutelare, da difendere e da proteggere».

Parliamo, infine, dell’obiezione di coscienza, che alcune parti politiche vorrebbero limitare. Ritiene siano necessari ulteriori rinforzi legislativi per, al contrario, tutelare tale diritto?

«Ci sono relazioni ministeriali estremamente interessanti, da cui si evince che a nessuna donna è impedito d’abortire. Probabilmente, alcune donne faticano più di altre nel trovare un luogo dove farlo, tuttavia non capita mai che, per via dell’obiezione di coscienza, l’aborto diventi impossibile. L’obiezione di coscienza va preservata e garantita, in quanto è espressione di quella libertà di agire secondo i propri principi, valori e criteri e che, in qualche modo, le donne difendono per se stesse. L’obiezione di coscienza è tutelata da decine di leggi e sentenze. Chi non la vuole, è probabilmente perché la vive come una critica alla propria scelta e, di conseguenza, un impedimento concreto ad abortire. Nelle relazioni ministeriali cui accennavo non ci sono casi di donne cui è stato impedito di abortire. Se si verificasse anche solo un caso, questa donna andrebbe in causa con lo Stato e, visto il contesto culturale in cui viviamo, probabilmente la vincerebbe».

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