08/04/2018

La bioetica del senso e il senso della bioetica

Esiste una dicotomia insanabile tra bioetica “laica” e bioetica “cattolica”? 

Ed è possibile parlare in senso proprio di bioetica “laica”?

«Lasciare la fede fuori dalla porta per poter interloquire alla pari con gli altri e con loro discutere di questioni di interesse comune»: così Roberta Sala descrive il processo di secolarizzazione che negli ultimi decenni ha, mano a mano, marginalizzato il ruolo e la funzione della prospettiva religiosa in genere, e teologica in particolare, dall’ambito delle riflessioni bioetiche. Su questo assunto si è andata tracciando quella nettissima linea di demarcazione tra la bioetica definita come “laica” e la bioetica de nita come “cattolica”. La bioetica laica, infatti, viene sempre contrapposta alla bioetica cattolica. E le due vengono dipinte come i due poli estremi di una dicotomia insanabile, poiché se opera l’una, l’altra deve necessariamente retrocedere, e viceversa.

Ma è proprio così? Davvero la bioetica laica è contrapposta a quella cattolica? Davvero l’impalcatura assiologica cattolica è inconciliabile con le esigenze del pensiero laico?
In primo luogo occorre fugare un equivoco concettuale che si ripercuote inevitabilmente nell’imprecisione lessicale. Occorre cioè chiarire fin da principio che la visione “cattolica” del mondo non è in contrasto con la visione “laica” del mondo, in quanto la laicità è un concetto non solo generalmente cristiano, ma precipuamente cattolico.
La distinzione tra sfera temporale e spirituale, infatti, è stata posta storicamente dal Cristianesimo allorquando, tra i molteplici citabili esempi, le prime comunità cristiane furono trucidate a seguito del loro rifiuto di incensare l’imperatore romano come divinità, cioè di riconoscere nella suprema gura del potere terreno anche la suprema figura del potere ultraterreno.
La questione richiederebbe una trattazione a sé stante, ma in questa sede appare sufficiente richiamare alla mente le riflessioni della filosofa Sofia Vanni Rovighi: «Non dimentichiamo che il laico è laico nella Chiesa. Oggi in Italia si usa il termine laico per indicare chi è fuori della Chiesa, ma il concetto di laico ha senso solo nella Chiesa».

L’idea di laicità, dunque, non può essere contrapposta a quella di cattolicità di cui, semmai, è diretta espressione. Sarebbe più opportuno allora parlare non già di bioetica laica, poiché laica è anche quella cattolica nella misura in cui si richiama all’ordinamento del diritto naturale e alla recta ratio, bensì di bioetica “secolare”, o meglio, secolarizzata, cioè sottoposta a un forzato processo di espulsione della dimensione trascendente dai suoi strumentari ermeneutici (come si ricordava, appunto, nell’incipit delle presenti riflessioni).

Posta questa correzione concettuale e semantica, occorre comprendere allora la differenza tra la bioetica secolarizzata e quella cattolica poiché, sistemata la “forma”, pare vi siano problemi anche circa la “sostanza”. Si può davvero parlare di bioetica nel caso della bioetica secolarizzata?
La bioetica secolarizzata, infatti, si fonda sulla impossibilità di cogliere la verità costitutiva della realtà. La bioetica secolarizzata tradisce una sfiducia sostanziale nei confronti della ragione, stante l’incomprensione della dimensione aletica del mondo.
Non potendo esistere una verità universale, secondo la bioetica secolarizzata, è anche impossibile identificare una gerarchia di valori, un’impalcatura assiologica che consenta di definire con certezza la distinzione tra ciò che si deve fare e ciò che non si deve fare, tra il bene e il male.
La bioetica secolarizzata ritiene infatti che non si possa scrutare nell’abisso della realtà alla ricerca di ciò che è permesso e di ciò che non lo è, cioè alla ricerca del senso del mondo. La prova diretta, tra i tantissimi esempi citabili, proviene proprio dalle riflessioni di uno dei maggiori esponenti e sostenitori della bioetica secolarizzata, Tristram Engelhardt. Il quale scrive: «Il Cristianesimo è crollato su se stesso. Non è solo in rovina. Di esso non rimane pietra su pietra. Volendo chiamare le cose con il loro nome, potremmo dire che oggi siamo entrati in un’epoca che ha rotto risolutamente i ponti con Dio. La cultura dominante dell’Occidente contemporaneo ha scelto di vivere come se Dio non esistesse [...]. Il fatto più signi cativo è lo sganciamento della morale e dell’autorità dello Stato da qualsiasi allusione ad un signi cato ultimo [...]. Tutto è in definitiva assolutamente privo di senso».

In questa ottica la bioetica secolarizzata è senza dubbio contrapposta e inconciliabile con la bioetica cattolica. Tuttavia, a ben guardare, è in contrasto perfino con se stessa poiché, dal punto di vista strettamente logico, se tutto è assolutamente privo di senso, per utilizzare la formula esatta di Engelhardt, lo è anche il fatto che tutto sia assolutamente privo di senso, cioè che sia priva di senso anche la stessa bioetica secolarizzata.
Senza dubbio una tale contraddizione non spaventa chi, come Friedrich Nietzsche, ritiene che «il nichilista non crede di dover essere per forza logico»; ma, ciò nonostante, la bioetica secolarizzata per essere ritenuta credibile e, soprattutto, per essere un modello autenticamente razionale e davvero alternativo alla bioetica cattolica, deve rendere ragione di questa sua strutturale e congenita debolezza.

Diversamente dalla bioetica secolarizzata, da intendere come bioetica del non-senso, la bioetica cattolica, cioè quella autenticamente laica, è la bioetica del senso, cioè la bioetica che cerca di distinguere il vero dal falso, il giusto dall’ingiusto, attraverso l’esercizio della facoltà razionale dell’uomo. La bioetica cattolica, in questo, riprende la tradizione dell’etica greca, quella per cui Antigone è divenuta la paladina del diritto naturale contro l’ingiustizia del volontarismo assoluto – cioè letteralmente sciolto da ogni vincolo – del sovrano.
Nell’intellegibilità del mondo la bioetica cattolica si appella non già alla volontà di Dio, ma alla ragione umana, riflesso della ragione di Dio. In questa prospettiva la bioetica non può che essere l’ambito in cui le azioni e le implementazioni della scienza bio-medica e del progresso tecno-scientifico non sono subite a scapito della dignità umana, ma vengono vagliate di volta in volta dal giudizio critico della razionalità umana. Non è più il non-senso a fondare il metro di giudizio, e nemmeno una teocratica e insondabile volontà divina, ma la ragione umana, la stessa, per intendersi, che si ritrova nell’Eutifrone allorquando Platone chiede: «Il santo, perché santo lo amano gli dei o perché lo amano gli dei è santo?».
Anche alla luce di questo aspetto, dunque, la bioetica cattolica si propone e s’impone non solo come l’unica bioetica davvero pensabile, ma anche e soprattutto come autentica bioetica laica, in quanto unica bioetica pensante.

La bioetica cattolica, dunque, significa non solo il recupero della bioetica del senso, ma anche e soprattutto il ripristino del senso della bioetica. In questa prospettiva non si possono non considerare le parole di Joseph Ratzinger allorquando, nel 2004, ha avuto modo di scrivere a Marcello Pera che «la razionalità degli argomenti dovrebbe cancellare il fossato fra etica laica ed etica religiosa e fondare un’etica della ragione che vada oltre tali distinzioni».

Aldo Rocco Vitale

Fonte: Articolo apparso su Notizie ProVita di Febbraio 2016, pp. 23-24

 

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