Immortalare il corpo umano con una miriade di scatti mentre cambia in continuazione nel corso dell’adolescenza. È stata questa la scommessa “vinta”, ormai da anni, da parte di Instagram e, in generale, dei social network. In alcuni casi, però, il prezzo da pagare è stato il deterioramente della salute mentale e della stabilità emotiva dei giovani utenti, in particolare quelli che ne fanno un uso compulsivo e i cui livelli d’ansia risultano particolarmente elevati. Inizialmente si presumeva che i danni dell’iperdigitalizzazione fossero quasi esclusivamente legati al tempo d’esposizione agli schermi, aumentato dalle due o tre ore al giorno (comunque sempre tante), ad addirittura le oltre otto ore negli anni post pandemia. Ma non è solo questione di screen time, dal momento che l’algoritmo che regge tale piattaforma social è concepito proprio affinché i minori restino incollati allo schermo e, anche quando sono offline, si muovono nella vita reale in funzione della propria identità digitale e della cosiddetta web reputation.
Big Tech consapevoli dei danni che provocano
«Da una parte abbiamo i migliori designer e sviluppatori del mondo che hanno realizzato prodotti digitali in modo da essere certi che le persone passino sempre più tempo su queste piattaforme; dall’altra abbiamo i ragazzini. E se diciamo a un ragazzino: “Usa la tua forza di volontà per limitare il tempo che passi sui social media”, stiamo mettendo quel ragazzino da solo contro i più bravi progettisti e sviluppatori del mondo. È una partita in cui non c’è gioco», ha osservato con onestà intellettuale il Surgeon General, l’autorità statunitense competente in materia di salute, in una recente intervista alla Cnn. D’altra parte già nel 2018, dunque in tempi non sospetti, l’amministratore delegato di Apple Tim Cook aveva dichiarato pubblicamente: «Non ho figli ma ho un nipote e gli ho imposto regole precise sull’uso della tecnologia. C’è una cosa che non consentirei mai ai ragazzini: non devono usare i social network». Eppure il fine di implementare l’engagement dei ragazzini è stato messo nero su bianco nei documenti ufficiali quale obiettivo principale delle stesse piattaforme social come TikTok, Facebook e Instagram, come emerso nel gennaio 2023 dalla pubblicazione di stralci di protocolli interni delle Big Tech. In particolare l’ex dipendente di Meta Frances Haugen asseriva, sulla base di dati in suo possesso, che «Instagram faceva stare male tre adolescenti su dieci, mentre più di uno su dieci diceva che contribuiva ai disturbi alimentari (anoressia) o addirittura peggiorava gli istinti suicidi». Eppure, relativamente agli effetti nocivi sulla salute mentale dei minori, Zuckerberg minimizzava e, anzi, al Congresso degli Stati Uniti nel 2021 addirittura rassicurava: «Le nostre ricerche dimostrano che l’uso di app social per connettersi con gli altri può avere un impatto positivo sulla salute mentale degli utenti».
I rischi dell’iperdigitalizzazione
Tra i rischi effettivi dell’iperdigitalizzazione sui minori sono purtroppo ormai acclarati privazione del sonno, deprivazione sociale, frammentazione dell’attenzione e dipendenza, come ha ampiamente documentato, con dati alla mano raccolti negli States, lo psicologo sociale newyorkese Jonathan Haidt nel suo recente studio La generazione ansiosa. E in effetti l’aumento considerevole del tasso di ansia tra i giovanissimi è frutto proprio di tale intenzionale massimizzazione dell’“economia dell’attenzione” che punta a monetizzare i circuiti dopaminergici della ricompensa, trasformandoli istantaneamente in un business di miliardi di dollari che si prende brutalmente gioco dell’autostima e dell’approvazione sociale ricercate spasmodicamente dagli adolescenti.
La Campagna di Pro Vita & Famiglia
Perciò da diversi anni Pro Vita & Famiglia è particolarmente attenta al tema dell’iperdigitalizzazione, nell’auspicio di poter contribuire ad arginare il fenomeno dell’abuso dei social e in generale del Web, come testimonia la campagna “Proteggiamo i minori da porno e violenza online” promossa già da diversi anni allo scopo di evitare che gli adolescenti siano esposti «a contenuti sessualmente espliciti o pornografici, che causano dipendenze, disturbi della personalità e incapacità di sane relazioni affettive, fino alla manifestazione di comportamenti predatori, violenti e discriminatori di cui sono spesso vittime, in particolare, ragazze e donne».