27/09/2019 di Redazione

L'etica: una guida a tutela della persona

Come distinguere il bene dal male? Una legge giusta da una ingiusta? A queste grandi domande solo l'etica può dare risposta...

 

Indice

Che cos’è l’etica? Definizione

L'etica è una scienza che studia la condotta dell’essere umano e indaga i fondamenti razionali dei criteri necessari a valutare i comportamenti umani e distinguerli in buoni e cattivi, giusti e ingiusti (Treccani – Vocabolario online).

 

Etica e morale

Esiste una sottile differenza tra etica e morale. La seconda si limita a fornire i princìpi per giudicare gli atti umani e quindi distinguerli alla luce di un criterio di giustizia. La prima (l'etica) estende invece la riflessione alla ricerca delle ragioni che permettono di individuare il suddetto criterio di giustizia, e di distinguere, tra le varie "morali" possibili, il modello pienamente conforme alla natura umana. La morale, dunque, è una parte dell'etica.

 

Il fondamento dell'etica: il diritto naturaleSimbolo di etica e giustizia

«Vi è certo una vera legge, la retta ragione conforme a natura, diffusa fra tutti, costante, eterna, che con il suo comando invita al dovere e con il suo divieto distoglie dalla frode […]. A questa legge non è lecito apportare modifiche, né togliere alcunché, né abrogarla interamente, e non possiamo esserne esonerati né dal senato, né dal popolo, né possiamo cercare come suo interprete Sesto Elio, e non ve ne sarà una diversa a Roma o ad Atene o dall’oggi al domani, ma come unica, eterna, immutabile legge governerà tutti i popoli e in ogni tempo» (M.T. Cicerone, cit. in R. Pizzorni, Il diritto naturale dalle origini a S. Tommaso d’Aquino, ESD, Bologna 2000, p. 101). Con queste parole, secoli prima dell’avvento del cristianesimo e tanto più delle correnti giusnaturalistiche, Cicerone manifestava la ferma convinzione dell’esistenza di una legge oggettiva e universale, scritta nella natura delle cose e conoscibile mediante l’uso della retta ragione. Del resto, se esiste un nucleo, un insieme di valori condivisi da tutti gli esseri umani indipendentemente dalle loro origini culturali, ciò è segno dell’esistenza di una “matrice” comune.

Molti negano la possibilità di risalire a questo comune denominatore dell’etica rappresentato dalla natura umana. Uno degli autori che hanno affrontato la questione con maggiore sistematicità è Norberto Bobbio; ci rifaremo dunque a lui per esporre, di volta in volta, le tipiche obiezioni sollevate contro i sostenitori di un diritto naturale universalmente valido. Scrive Bobbio: «Bisogna confessare che, se uno degli ideali di una società giuridicamente costituita è la certezza, una convivenza fondata sui princìpi del diritto naturale è quella in cui regna la massima incertezza. Se caratteristica di un regime tirannico è l’arbitrio, quello retto dal diritto naturale è il più tirannico, perché questo gran libro della natura non fornisce criteri generali di valutazione, ma ognuno lo legge a suo modo» (N. Bobbio,Giusnaturalismo e positivismo giuridico, Laterza, Roma-Bari 2011, p. 145).

 

Ambiguità del concetto di natura e necessità di un’indagine approfondita

Ora, che il concetto di natura sia di per sé ambiguo e polisenso, è un dato di fatto; e che sia stato utilizzato per giustificare tutto e il contrario di tutto, è altrettanto evidente. Bisogna però riconoscere che questa indeterminazione, pur essendo una costante di tutti i dibattiti intorno ai sistemi valoriali e alle verità ultime, non esclude, di per sé, il carattere veritativo dell’oggetto in discussione; e tantomeno il dovere morale di ricercarlo. Nel caso di specie, la confusione originata dalle molteplici correnti di pensiero non autorizza a concludere che non esista una natura umana unica e oggettiva, fonte del comune senso di giustizia degli uomini. La diversità di vedute rivela la complessità del problema, non L'uomo davanti alla sceltala sua insolubilità. In realtà per comprendere (e confutare) lo scetticismo positivista in proposito, bisogna ricondurlo alla sua causa prima che è anche l’essenza della categoria filosofico-culturale della modernità: il soggettivismo. È su queste basi che si è venuta formando la Scuola del diritto naturale, ovvero il giusnaturalismo moderno, che ha prodotto la frammentazione del concetto di natura avallandone anche le più irrazionali distorsioni. I filosofi moderni hanno costruito i propri sistemi abbandonando ogni concezione metafisica, intesa come ontologia dell’etica, perdendo qualunque punto di riferimento nell’essere della realtà e chiudendosi ciascuno nella propria visione del mondo. 

Se si rimane su questo livello di pensiero, ha ragione Bobbio a scrivere che per dimostrare l’equivocità del concetto di natura «basta pensare a certe famose contese come quella se lo stato di natura sia di pace o di guerra, per cui Pufendorf contendeva con Hobbes; o quell’altra, se l’istinto naturale fondamentale sia favorevole o contrario alla società, che divideva Hobbes da Grozio; o se l’uomo naturale sia debole e insicuro, come voleva Pufendorf, o forte e sicuro come voleva Rousseau» (ibidem). A ben vedere, però, gli argomenti citati evocano riflessioni che prescindono dal discorso ontologico e si collocano su un gradino già ulteriore, quello deontologico. 

Gli autori in questione, cioè, si concentrano su quello che assumono essere il comportamento "naturale" dell’uomo, nel senso di "presociale"; ma in assenza di un'accurata analisi del fondamento ontologico, ossia della natura umana in se stessa, sono costretti a partire ciascuno dal proprio pregiudizio. Questa è la peculiarità del giusnaturalismo moderno, a differenza di quello classico-scolastico che, sul piano del rigore concettuale e della coerenza, può essere considerato l’unico, autentico giusnaturalismo. 

 

Da Aristotele a San Tommaso d’Aquino: il fondamento del diritto naturale

La filosofia scolastica, e in particolare il tomismo, porta a pieno compimento quanto di buono era già stato sviluppato dalla filosofia di Aristotele e dal pensiero classico in generale. Per una efficace illustrazione del significato profondo del diritto naturale, condensiamo di seguito alcune ottime pagine di Reginaldo Pizzorni o.p. che andremo a sviscerare più avanti:

«L’etica presuppone la metafisica, perché il dovere, oggetto della morale e del diritto, non è che un aspetto, un riflesso dinamico dell’essere, oggetto della metafisica; da ciò che l’uomo è si può ricavare il concetto generale di ciò che è bene, di ciò che gli è necessario per realizzarsi come uomo. […] La filosofia della persona si fonda sulla metafisica dell’essere, ma oggi, purtroppo, c’è una forte pregiudiziale antifilosofica, una diffusa avversione alla metafisica, un congedo dall’essere, e questa fine della metafisica porta facilmente anche alla fine dell’etica. […] La filosofia moderna, infatti, si è allontanata dal pensiero classico ed è passata dal primato dell’essere al primato del soggetto che viene inteso come sorgente creativa di valori e di storia […]. La filosofia classica, quindi, in generale, fonda il bene sull’essere per cui abbiamo una ontologia che fonda un’etica, mentre l’assiologia moderna si affida a forme ideali che esisterebbero in sé: […] per cui abbiamo solo un’antropologia che si fonda su di una fenomenologia. Così, partendo dalla “legge di Hume” […] o “fallacia naturalistica”, ripresa poi da Kant e successivamente dal neopositivismo, come ad es. da Kelsen, Bobbio ecc., si ammise un dualismo tra fatti e norme, e si affermò che dall’essere, cioè da ciò che è o che realmente accade, non può derivare il dover essere, cioè ciò che deve accadere, (no ought from an is), perché il descrivere non è prescrivere, come informare non è comandare. […] La critica di Kelsen può quindi valere per il giusnaturalismo moderno, che accoglie e sottende, in maniera più o meno rigorosa, un’idea antifinalistica e meramente empiristica della natura in generale e di quella umana in particolare, ma non ha valore se intende coinvolgere il giusnaturalismo classico-cristiano-tomista, basato su una metafisica dell’essere, la quale implica che la normatività è interna alla natura, per cui il dover essere è già implicato nelle strutture ontologiche dell’essere: […] come dice S. Tommaso: “L’ordine dei precetti della legge naturale segue l’ordine delle inclinazioni naturali”. Quindi noi scopriamo nei “fines” dell’inclinazione, che sono indicativi, i “bonae naturae”, che sono imperativi. […] Così i princìpi teleologici si trasformano in precetti morali, per cui l’essere dei fini produce il “dover essere” dei beni» (R. Pizzorni, La filosofia del diritto secondo S. Tommaso d’Aquino, ESD, Bologna 2003, pp. 360-364-365-368-375-376).

 

Il vero significato di "natura" quando si parla di "diritto naturale"

Con questa lunga e articolata citazione giungiamo al cuore dell’architettura tomistica del diritto naturale. S. Tommaso si sofferma sul concetto di natura come principio formale di tutte le cose che rivela in esse una tensione verso un fine determinato che è il proprio perfezionamento. In altre parole l’essere ricerca sempre la perfezione, secondo l’essenza propria di ciascuna cosa. Per “ricerca della perfezione” intendiamo un moto che conduce ogni essere vivente verso quella “maturità” che costituisce il suo pieno compimento. Questo moto e questo compimento, per l’essere umano, sono “naturali” in un duplice senso: biologico e morale. L’uomo è infatti mosso dalla propria struttura biologica verso la piena maturità fisica e intellettuale, e l’istinto lo porta a compiere quelle azioni necessarie a tal fine, come il nutrirsi. Il bene, in questo caso, è puramente fisico e materiale. Per raggiungere la maturità morale e spirituale, invece, l’uomo non è mosso da un istinto ma sceglie di muoversi attraverso l’uso della ragione, ed è pertanto libero di orientarsi al fine o di allontanarsene. Il bene, in questo secondo caso, è di ordine morale e bisogna fare attenzione a evitare la sovrapposizione tra le due dimensioni perché non sempre coincidono, come spieghiamo più avanti.

Bobbio, commentando la celebre definizione aristotelica, individua il profondo e originario significato del termine “natura” in quello di categoria che ingloba «tutti gli enti ed eventi che avendo “in se stessi il principio del loro movimento”, nascono, si sviluppano, muoiono in conformità a leggi non poste, né modificabili dall’uomo» (N. Bobbio, Locke e il diritto naturale, Giappichelli, Torino 1963, p. 26). Tra questi enti rientra, ovviamente, l’uomo stesso, per ciò che riguarda il proprio modo di essere, la propria essenza che, evidentemente, non si è dato da sé né può modificare. La legge naturale, perciò, si compone di una struttura duplice in un ordine che è contestualmente genetico (a natura) e teleologico (secundum natura): «Affinché qualcosa possa dirsi naturale a un determinato soggetto sono così richieste due condizioni: l’origine intima o causalità intrinseca, data dall’inclinazione o tendenza spontanea; la finalità riposta in quei beni che il soggetto esige per la propria perfezione» (G. Graneris, Contributi tomistici alla filosofia del diritto, SEI, Torino 1949, p. 100). 

Poiché la natura dell’uomo è caratterizzata in primis dalla sua razionalità, la legge naturale del suo essere sarà quella di agire razionalmente. «Ogni ente, infatti, ha una inclinazione verso il suo bene, che è anche il suo fine, per cui essendo la ragione ciò che conferisce alla nostra natura il suo carattere propriamente umano, il bene o fine, sia morale che giuridico, è ciò che si accorda con la nostra natura, cioè con la ragione, e viceversa il male è assenza di razionalità. Naturale, quindi, è ciò che corrisponde alla essenza umana e alle esigenze e inclinazioni radicali che ne scaturiscono. Ma, come notava Aristotele, la natura umana non va individuata nello stato iniziale, originale e in qualche modo selvaggio, come farà poi Rousseau, ma nello stato compiuto, finale e "perfetto"; la natura per ogni cosa è il compimento del suo sviluppo» (R. Pizzorni, La filosofia del diritto secondo S. Tommaso d’Aquino, cit., p. 278). 

 

I veri diritti umani sono i diritti naturali

Ne deriva che al fine di conoscere il diritto naturale nella sua oggettività, per non infarcirlo di opinioni personali né equivocarlo come "legge della giungla" e quindi del più forte, bisogna avere come riferimento la natura umana nella sua globalità che, come insegna S. Tommaso, pur essendo unica, si può analizzare su tre livelli: l’uomo è un essere vivente, senziente e razionale. Le inclinazioni naturali, dunque, seguono questa triplice direttiva e perciò i precetti di diritto naturale corrispondono a tali inclinazioni. Tuttavia, e questo è il punto focale della ricostruzione, un’inclinazione può dirsi pienamente naturale, pienamente umana, e quindi eticamente “normativa”, solo se arriva a coinvolgere la dimensione razionale passandone il vaglio. Diversamente si tratterà di un semplice istinto che, per quanto naturale nell'ordine genetico, non lo è nell’ordine teleologico, poiché l’uomo non è un semplice essere senziente, ma un essere dotato di ragione. Va da sé, infatti, che le inclinazioni percepite a livello sensibile devono sempre essere giudicate razionalmente. 

Se non rispetta questa gerarchia intrinseca alla propria natura, l’uomo si comporta non in maniera autenticamente umana, bensì meramente animale. Un chiaro esempio di mancata applicazione di questo principio è offerto dall’ipotesi della violenza carnale, laddove, per assecondare gli istinti più bassi (che pur sono "naturali"), l’aggressore ignora il giudizio della ragione che rimprovera la soddisfazione di un istinto mediante un atto di violenza. 

Possiamo dunque definire il diritto naturale come «l’insieme di leggi razionali che esprimono l'ordine delle tendenze o inclinazioni naturali verso i fini propri dell'essere umano, ordine che è specifico dell'uomo in quanto persona» (J. Hervada,Introduzione critica al diritto naturale, Giuffrè, Milano 1990, p. 143). Al termine di questa analisi, è finalmente possibile enucleare quei diritti fondamentali dell’uomo che formano il contenuto essenziale del diritto naturale in relazione ai tre gradi della natura umana (Cfr. R. Pizzorni, La filosofia del diritto secondo S. Tommaso d’Aquino, cit., pp. 517-522).

 

Una classificazione in base ai tre gradi di essere

Ogni grado (vegetativo, senziente, razionale) può declinarsi a livello individuale oppure sociale: infatti alcune esigenze della natura umana riguardano beni che devono essere ottenuti e posseduti sia a livello individuale che sociale. Ad esempio, il perfezionamento intellettuale può ottenersi individualmente ma - soprattutto - esige l'accesso ad un patrimonio culturale sociale. Persino il diritto alla vita, che è chiaramente un diritto "dell'individuo", esige la dimensione sociale. Esso non nascerebbe affatto se non ci fosse un rapporto sociale qualificato tra persone di sesso diverso (la procreazione). E non potrebbe essere garantito all'individuo se non ci fossero altre persone - specie nei primi anni di esistenza dell'essere umano - tenute ad assicuragli i mezzi di sussistenza. 

Ai vari diritti sono contrapposte alcune forme di violazione particolarmente significative, in una indicazione che è ovviamente esemplificativa e non esaustiva:  

All'essere umano in quanto vivente, spettano diritti vitali:

  • il diritto alla conservazione della vita dal concepimento alla morte naturale (al quale si oppongono con evidenza l'omicidio comune ma anche l'aborto e l'eutanasia);
  • il diritto alla libertà di procreazione (al quale si oppone qualunque politica di controllo delle nascite, come anche la pratica dell’utero in affitto);
  • il diritto al lavoro quale mezzo di sostentamento (al quale si oppone qualunque politica statuale che renda troppo oneroso l’accesso al mercato del lavoro o che pesi eccessivamente sulle spalle dei lavoratori dal punto di vista fiscale);
  • il diritto al possesso dei beni di sussistenza legittimamente guadagnati (al quale si oppone qualunque teoria di soppressione o di forte limitazione della proprietà privata).

All’essere umano in quanto senziente, spettano diritti familiari, di movimento e di integrità fisica:

  • il diritto alla libertà personale e di movimento (al quale si oppone qualsiasi arbitrario mezzo di coercizione o di reclusione, così come il sequestro di persona).
  • il diritto all'integrità fisica e psichica (al quale si oppongono gli atti di lesione, la tortura, ecc.)
  • il diritto alla formazione della famiglia (al quale si oppone qualunque politica tesa a scardinare o indebolire l’istituto del matrimonio tra un uomo e una donna);
  • il diritto alla cura della discendenza (al quale si oppone ogni tentativo di comprimere il ruolo dei genitori nel processo educativo dei figli o, peggio, di sostituirlo con un'educazione di Stato).

All’essere umano in quanto razionale, spettano diritti spirituali/sociali:

  • il diritto alla libertà di coscienza (al quale si oppone ogni imposizione dello Stato che volesse obbligare il cittadino ad andare contro il medesimo diritto naturale);
  • il diritto alla libertà di culto (al quale si oppone il laicismo radicale e la messa fuori legge del culto religioso);
  • il diritto alla libertà di associazione (al quale si oppone la tendenza dei regimi tirannici a limitare o impedire le formazioni sociali, benché rivolte a un fine onesto, quando non gradite a chi detiene il potere).

Di seguito riassumiamo schematicamente quanto esposto sopra, aggiungendo la distinzione tra le due dimensioni, individuale e sociale, in cui l’uomo è chiamato a realizzare la propria perfezione e che, a tal fine, sono coessenziali:

 

INDIVIDUALE

SOCIALE

IN QUANTO VIVENTE

Diritto alla conservazione della vita; all’alimentazione; ai mezzi di sussistenza

Libertà di procreazione

IN QUANTO SENZIENTE

Libertà di movimento (libertà personale); diritto all’integrità fisica e psichica

Diritto di convivenza familiare (anche a mantenere i figli “fisicamente” accanto a sé)

IN QUANTO RAZIONALE

Libertà di coscienza; diritto all’istruzione religiosa; libertà di perfezionamento culturale

Diritto all’educazione dei figli; Libertà di associazione

 

 

Approfondimenti sui diritti naturali

Questi sono alcuni dei diritti naturali originari dell’uomo secondo il più autentico giusnaturalismo scolastico. La divisione in base ai tre gradi di essere è in certa misura soltanto "didattica" in quanto la maggior parte dei diritti naturali coinvolgono esigenze nel contempo vegetative, sensitive e razionali. Ad esempio, il diritto naturale dei genitori a educare i figli trova giustificazione sia nell'esigenza di perfezionamento intellettuale e spirituale dei figli (che è soddisfatta nel modo migliore nel contesto familiare), sia nelle esigenze emotive e di "attaccamento" che legano prole e genitori, sia nel legame naturale e unico costituito dal semplice fatto della procreazione (per cui il figlio costituisce in qualche modo "frutto" dell'esercizio dell'atto procreativo del genitore, e il legame genetico e biologico che implica la generazione e la gestazione vale già di per sé a porre la prole in relazione "speciale" con i propri genitori, in un modo che non sussiste nei confronti di qualunque altra persona). La distinzione dei diritti in base ai tre gradi di essere e in base alla dimensione individuale e sociale non è dunque una distinzione netta. Ciò che rileva è che il diritto rappresenta un bene la cui esigenza è posta dalle finalità naturali dell'essere umano, sia come individuo che in società.

Ciascuno dei diritti naturali, in quanto radicato nell’essenza dell’uomo, è inviolabile in qualunque circostanza ad eccezione del caso in cui sia necessario attuare la giustizia a tutela di un diritto naturale di grado pari o superiore: si pensi all’ipotesi classica della legittima difesa che autorizza l’uccisione dell’ingiusto aggressore per difendere la propria vita; o al caso in cui lo Stato è chiamato a limitare la libertà di associazione per scongiurare il rischio di azioni violente da parte di organizzazioni eversive. Diversamente la compressione di tali diritti non è mai giustificabile. Com’è evidente, siamo lontani dalle ricostruzioni more geometrico dei diritti naturali da parte dei giusnaturalisti moderni: i diritti citati non sono altro che il riflesso della natura umana sul piano giuridico, o, come si è detto, il dispiegamento dell’essere verso il dover essere.

Che i diritti e le libertà fondamentali siano basate sulla natura umana è del resto facile da capire anche ricorrendo ad un "esperimento mentale" (ai limiti dell'assurdo, ma non per questo meno significativo). Immaginiamo che su un pianeta lontano ci siano esseri intelligenti simili agli essere umani. Tuttavia, questi esseri differiscono dagli uomini per alcune caratteristiche biologiche peculiari: il loro organismo non si alimenta con sostanze organiche ma produce energia solo grazie all'esposizione alla luce del loro "sole" (anzi, l'ingerimento di sostanze organiche sarebbe addirittura dannoso); inoltre, ogni individuo nasce dalla generazione per partenogenesi da un solo genitore e possiede un solo cromosoma sessuale "Z"; infine, ognuno di questi individui "alieni" cresce e si sviluppa solo grazie a lesioni prodotte nel corpo, necessarie per stimolare un processo di accrescimento non doloroso. È chiaro che - stando così le cose - nelle società di questi strani essere intelligenti non ci sarebbe alcuna rivendicazione del "diritto agli alimenti" (ma casomai del diritto di "esposizione alla luce"), il matrimonio probabilmente non esisterebbe, e non ci sarebbero leggi che tutelino gli individui da atti di lesione (ferire il prossimo potrebbe essere visto come un atto di generosità o di cortesia, o comunque le leggi sull'integrità fisica sarebbero molto diverse dalle nostre). Questo peculiare esperimento mentale mostra quindi quanto è vera la derivazione del "dovere" (o del "diritto") dall'essere (o natura - biologica ma non solo - dell'essere intelligente). 

 

Soluzione delle obiezioni sulla "equivocità" del concetto di natura

 

L'obiezione del positivismo giuridico

Bobbio riporta le principali obiezioni positivistiche alla tesi giusnaturalistica della fondazione dei diritti umani sulla natura dell’uomo, affermando che «la nozione di “natura” è così equivoca, che

  1. sono stati considerati come naturali diritti diametralmente opposti;
  2. anche se l’accordo fosse stato unanime, non ne sarebbe derivato necessariamente l’accordo unanime su ciò che è giusto e ingiusto;
  3. anche se l’accordo su ciò che è giusto perché naturale fosse stato unanime, ciò non implica la validità di questo accordo anche per il tempo presente». (Cfr. N. Bobbio, Giusnaturalismo e positivismo giuridico, cit., p. 153). 

 

La soluzione del giusnaturalismo

Mediante la ricostruzione di cui sopra sembra di poter sostenere il superamento di queste obiezioni. Partendo da un fondamento ontologico, cioè radicato nell’essere, la nozione di natura, riferita all’uomo, perde tutta la sua potenziale equivocità lasciando sul campo un solo significato possibile: la razionalità è il carattere che contraddistingue in maniera peculiare e irriducibile la natura umana rispetto a tutti gli altri generi; ma la natura razionale presuppone necessariamente la natura sensibile che, a sua volta, presuppone come punto di partenza la natura vivente. È innegabile, pertanto, che la natura umana si struttura secondo un ordine che è gerarchico, e perciò “normativo”, già sul piano ontologico

Quest’ordine comprende tre gradi: vitalità, sensibilità, razionalità. Ora, se si parte da questo presupposto, la via è già tracciata. Per non contraddire la propria natura, e quindi se stesso, l’uomo deve riconoscerla e adeguarvisi seguendo quella normatività che le è intrinseca e che, non mutando la natura umana, resta a sua volta immutabile. Ecco perché si può ritenere che le tre obiezioni sopra riportate sono infondate: 

  1. grazie alla razionalità l’uomo può cogliere la vera essenza della propria natura estrapolandone un concetto univoco;
  2. dall’analisi di tale concetto si rileva una “normatività” intrinseca all’essere e pertanto in grado di fondare il dover essere, da cui la coincidenza tra "naturale in senso morale" e "giusto"
  3. dal fondamento ontologico dell’unica natura possibile, deriva non solo l'universalità ma anche l’immutabilità del diritto naturale, essendo la natura umana perennemente uguale a se stessa.

È necessario cercare di porsi sul piano dell'analisi oggettiva non tanto su quello della storia delle teorie morali: il fatto che non ci sia o non ci sia stato consenso su ciò che è il diritto naturale non dimostra nulla rispetto alla possibilità di conoscerlo. In campo filosofico sono esistiti scettici su tutte le questioni (persino sulla propria esistenza o sull'esistenza del mondo esteriore) ma ciò non significa che non sia possibile giungere a qualche verità. Analogamente, il fatto che in certi periodi non ci sia stato consenso su alcune verità scientifiche che oggi sembrano ovvie (la sfericità della terra) non significa che non siano vere (lo stesso dicasi rispetto a tesi scientifiche sulle quali ancora oggi non c'è consenso). 

 

Bibliografia essenziale

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