13/05/2021 di Manuela Antonacci

La battaglia di una donna con sindrome di Down contro la legge abortista britannica

Heidi Crowter, una donna affetta dalla sindrome di Down, e Máire Lea-Wilson, madre il cui figlio di 23 mesi vive la stessa condizione di Heidi, hanno fatto ricorso, davanti all’Alta Corte di Giustizia a Londra, contro la legge britannica sull’aborto (Sezione 1 dell'Abortion Act) (Sezione 1 dell'Abortion Act) che, dal 1967, anno in cui è entrata in vigore, permette di interrompere la gravidanza di bambini affetti da sindrome di Down, ma anche da "anormalità fisiche o mentali, tali da essere gravemente disabile".

 Non proprio un dettaglio, se si pensa che, nel 2019, in Inghilterra e Galles a causa di questa disposizione di legge, sono stati praticati ben 3.183 aborti per motivi legati a diagnosi di disabilità, e in particolare 656 di queste interruzioni di gravidanza, sono state dovute anche alle diagnosi prenatale di sindrome di Down che hanno portato e stanno portando, a veri e propri aborti selettivi.

Per questo le due donne, considerato anche l'aumento dell'impiego delle tecniche di screening prenatale che stanno portando ad una vera e propria strage, hanno fatto ricorso.

In particolare, Heidi Crowter contesta il fatto che, nella Sezione 1 dell'Abortion Act in questione, le persone con sindrome di Down, vengano considerate ‘gravemente disabili’, una definizione che considera impropria. In effetti la Crowter, proprio in virtù della sua condizione, sostiene di condurre una vita normale, per di più allietata da un felice matrimonio e, come lei, tante altre persone con sindrome di Down.

Per questo, i membri della comunità Down “hanno deciso di sbarazzarsi della clausola della legge”, ha dichiarato Heidi. Lea Wilson invece, ha chiarito di essersi voluta impegnate in questa battaglia, perché la legge non considera nello stesso modo i suoi due figli, uno dei quali, appunto, con Trisomia 21, al punto che le sarebbe stato proposto di abortire per ben tre volte, dopo la diagnosi prenatale.

Dunque la base comune della battaglia imbracciata dalle due donne è proprio l'abolizione di una clausola di legge che crea una gravissima base di discriminazione nei confronti delle persone con sindrome di Down, peraltro, inaccettabile, proprio nell'epoca in cui, ad ogni piè sospinto, si lanciano proclami su diritti ed inclusivita', ma..la legge è veramente uguale per tutti?

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