20/02/2020

Iniziate le audizioni sul ddl contro l’omofobia. Ma all’Italia non serve questa legge

Sono giorni di audizioni, questi, presso la Commissione di Giustizia della Camera dei Deputati, al cui ordine del giorno c’è l’esame delle proposte di legge recanti modifiche al codice penale in materia di violenza o discriminazione per motivi di orientamento sessuale e identità di genere. Tra i soggetti auditi, anche personalità vicine al mondo pro family come la giovane bioeticista Giulia Bovassi, la quale, nel suo intervento dello scorso 18 febbraio, ha messo in guardia gli onorevoli presenti dai pericoli di una legislazione anti omofobia che, alla prova dei fatti, potrebbe rivelarsi liberticida.

«Il rischio», ha affermato la dottoressa Bovassi a conclusione del suo intervento, «è di legiferare   sull’altra faccia, più silente, della questione; per dirla con George Orwell, si tratta del “non-existing-person”: confinare la diversità affinché smetta di esistere pubblicamente e che, probabilmente, grazie al timore della sanzione imprecisa sull’oggetto di reato, cesserà di esistere anche interiormente. Il primo passo per non far esistere qualcosa è togliere la possibilità di discuterne». Considerazioni, quelle della giovane bioeticista, dalle quali è davvero difficile dissociarsi.

Infatti, che le leggi contro l’omofobia costituiscano delle insidie per chi intende difendere il primato della famiglia naturale e il diritto di ogni bambino ad avere un padre ed una madre, è fuori discussione. Il punto è che – come hanno provato fiori di studiosi, da Mark Regnerus e D. Mark Anderson, da Kyutaro Matsuzawa a Joseph J. Sabia – le legislazioni arcobaleno non apportano alcun beneficio concreto nelle vita delle stesse persone con tendenza omosessuali. Una considerazione alla quale vale la pena aggiungerne un’altra, riguardante il nostro Paese.

La considerazione è la seguente: l’Italia non è un Paese intollerante né «omofobo». Non lo è oggi  esattamente come non lo era ieri, dato che da noi l’omosessualità è stata depenalizzata nel lontano 1866, ben prima dall’anglicana Gran Bretagna (1967), della Germania comunista (1968), della luterana Norvegia (1972) o d’Israele (1988). Non solo. Nel 2013, quindi prima che le unioni civili fossero introdotte, il Pew Research Center diffuse un report molto interessante, intitolato The Global Divide on HomosexualityGreater Acceptance in More Secular and Affluent Countries.

Ebbene, dalle trenta pagine scarse di quella ricerca internazionale – effettuata, lo si ripete, prima che fossero introdotte le unioni civili e quindi quando il nostro Paese, in teoria, avrebbe dovuto essere altamente «omofobo» - emergevano almeno due aspetti interessanti. Il primo era che la società italiana presentava il medesimo grado di accettazione dell’omosessualità (74%) di Paesi come per esempio l’Argentina, dove il matrimonio gay risultava legale fin dall’estate del 2010.

Un secondo profilo singolare riguardava invece com’era mutata l’accettazione dell’omosessualità nella società italiana; per la precisione, effettuando una comparazione fra gli anni 2007 e 2013, gli studiosi americani avevano scoperto come, mentre in Germania ed in Spagna – Paesi nei quali unioni civili e nozze gay erano legali -, la tolleranza verso l’omosessualità era aumentata dal 6%, da noi tale miglioramento era risultato ancora maggiore: più 9%.

Da ultimo, che il nostro Paese non sia affatto intollerante è stato riscontrato dall'Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori, che ha certificato come dal 2018 al 2019 siano diminuite le aggressioni fisiche legate all'orientamento sessuale e all'orientamento di genere, scese da 43 a 29 annue. Per carità: anche una singola aggressione ad una persona è un atto barbaro e da condannare, ma che ci sia necessità di una legislazione anti omofobia per l’Italia è a tutti gli effetti – per dirla con un’espressione di moda – una fake news. Speriamo lo possa capire anche la maggioranza dei nostri parlamentari.

 

di Giuliano Guzzo

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