29/12/2023 di Matteo Delre

Il Regno Unito corre ai ripari sulle cliniche per baby trans. E l’Italia?

Nuove e inquietanti rivelazioni emergono da un’inchiesta dell’inglese Daily Telegraph sulla nota clinica transgender Tavistock, uno dei centri di riferimento per la transizione di genere in Gran Bretagna. Chiusa l’anno scorso dopo un’inchiesta indipendente che ne aveva sancito la pericolosità per i minorenni che vi si rivolgevano, oggi nuovi dati ne svelano risvolti se possibile ancora più sconcertanti: «negli ultimi 10 anni», scrive il foglio britannico, «12 bambini di tre anni, 61 di quattro, 140 di cinque e 169 di sei» sono stati inviati alla clinica londinese per la riassegnazione del genere. Guardando al quadro più ampio, i numeri restituiscono uno scenario se possibile ancora più angosciante: nel biennio 2010/2011 i piccoli pazienti della Tavistock erano 136, dieci anni dopo risultavano 3.585. Nessuno di loro ha iniziato il processo di transizione, dicono i responsabili della clinica: si trattava di meri colloqui orientativi, di consulenza o supporto, con i genitori. Ma tant’è l’allarme è scattato nelle istituzioni inglesi.

La risposta pare però piuttosto fiacca: il ministero dell’istruzione ha infatti diramato delle linee guida dove si raccomanda di coinvolgere sempre i genitori, nel caso emergano problematiche relative all’identità di genere, a partire dalle ben note “carriere alias”, che in Gran Bretagna sono ormai cosa ordinaria. Stando al ministero, le scuole «dovrebbero accettare il cambio di nome solo se sono certe che i benefici per il bambino superino le conseguenze per la scuola. Questo cambiamento dovrebbe avvenire soltanto in rarissime occasioni». Non solo: di norma ogni studente dovrebbe usare i bagni dedicati al proprio sesso biologico, «a meno che ciò non li metta a disagio». Gocce d’acqua su un problema che, a riguardare i numeri emersi, è più che rovente, rinfocolato costantemente com’è dalla martellante propaganda LGBT+, e poco cambierebbe se il ministero inglese della sanità, come si dice, stabilisse in 7 anni di età il limite minimo per accedere alle cliniche di riassegnazione del genere.

Si sta parlando infatti di età in cui i bambini oggi vogliono poter essere femmine e le bambine maschi con la stessa facilità e la stessa profondità di riflessione a monte con cui vogliono poter essere un supereroe o una principessa delle favole. «Lasciate che i bambini giochino e usino la loro immaginazione, senza medicalizzare qualcosa che sta crescendo», ammonisce ragionevolmente Jackie Doyle-Price, ex ministro inglese alla sanità. Cui fa eco un rapporto dei Servizi scientifici del Bundestag tedesco, che con nettezza tutta teutonica non ha mezze misure: «i farmaci bloccanti la pubertà potrebbero danneggiare permanentemente lo sviluppo cognitivo dei minori, compresi gli aspetti mentali, emotivi e comportamentali della loro formazione sessuale». Cose note da tempo, in realtà, ma che non hanno impedito alla Tavistock di somministrare quel tipo di farmaci a minorenni che poi si sono accorti troppo tardi di aver imboccato una strada senza ritorno.

E in Italia? Si fa all’italiana, naturalmente: il quadro normativo e regolamentare è tutt’altro che solido e chiaro e non sorprende quindi che i numeri del fenomeno siano in aumento. Secondo il Saifip (“Servizio per l’adeguamento tra identità fisica e identità psichica”, ebbene sì, esiste un servizio del genere in Italia…) del San Camillo di Roma, nel 2022 sono stati registrate 114 richieste di adolescenti che ritenevano di non riconoscersi nel loro sesso biologico. Solo quattro anni prima il numero era sei volte inferiore. Anche per questo molti ospedali, come il San Camillo di Roma, si stanno attrezzando per quello che è, a tutti gli effetti, un’ottima occasione di business. Diversi nosocomi si stanno dotando di triptorelina, farmaco autorizzato dall’Agenzia europea del farmaco per uso veterinario, ma utilizzato anche sugli esseri umani, minori compresi, proprio come bloccante della pubertà. Un caso del genere è stato recentemente denunciato dal senatore Maurizio Gasparri relativamente a un ospedale di Firenze.

Insomma, come sempre l’Italia si distingue per una normativa confusionaria e per un netto ritardo rispetto ad altri paesi. Se all’estero infatti ci si sta accorgendo della dannosità delle pratiche e dei farmaci per la transizione di genere, specie se applicati ai minorenni, con un numero crescente di specialisti e scienziati che prendono posizioni nettamente critiche, qui ancora la disciplina della materia rimane vaga e piena di ampie fessure dove il desiderio di fare affari può insinuarsi comodamente. Ma è soltanto una questione di soldi? Sicuramente il business è un volano importante, ma non si può e non si deve dimenticare che al di sotto di esso si muove un sostrato ribollente di ideologia transumana che nulla ha a che fare con la natura profonda dell’essenza umana, anzi ha come obiettivo quella di sovvertirla. Una partita persa in partenza, è ovvio, ma è bene essere consci che, nel tentativo, un numero imprecisato di innocenti e fragili può finire in una trappola di infelicità e talvolta disperazione, quasi sempre senza ritorno. L’Italia avalla tutto ciò?

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