17/11/2020 di Manuela Antonacci

Il gender è già nelle scuole con i “laboratori sugli stereotipi di genere”

“Un laboratorio sugli stereotipi di genere, intercultura e bullismo omofobico” denominato  “Le Chiavi della Città” rivolto alle scuole fiorentine primarie e secondarie di primo grado.

E’ l’ultimo, grande, frutto della singolare collaborazione tra l’Assessorato all’educazione e al welfare del Comune di Firenze, l’Ufficio Regionale Scolastico Toscana, l’Ufficio Provinciale Scolastico Firenze e la Fondazione CR Firenze che, come apprendiamo proprio dal sito del progetto “Le Chiavi della Città”, avrebbero creato una  rete “per il sostegno delle scuole di ogni ordine e grado del Comune di Firenze, nella progettazione di percorsi di Cittadinanza e Costituzione – Educazione Civica per le scuole fiorentine”.

Il progetto si articola in diverse sezioni, tra cui: formazione alla cittadinanza e all’impegno civile, eventi celebrativi e ricorrenze, tradizioni popolari fiorentine, nuove tecnologie, media, social network e nuovi linguaggi, ma non poteva mancare anche il laboratorio sugli stereotipi di genere: “Il progetto- come si legge sul sito- si propone come obiettivo generale quello di contrastare la formazione di stereotipi di genere, prevenendo la discriminazione di chi non si conforma ad essi, favorendo un’educazione alle differenze.” Le solite espressioni ambigue che costituiscono il cavallo di Troia per l’instillazione di teorie che già consociamo bene.

Ad esempio, per la scuola primaria il progetto prevede di andare a scomodare libri e personaggi delle fiabe per individuare gli stereotipi di genere presenti in essi, stessa cosa anche per i giocattoli. Insomma, una fastidiosa invasione nell’immaginario fantastico dei bambini, in cui si entra a gamba tesa con la pretesa di insegnare un punto di vista che, in nome della tolleranza e della non discriminazione, pretende di imporsi come l’unico possibile. Non lasciando nemmeno che i bambini facciano semplicemente i bambini, non venendo costretti ad occuparsi di questioni da adulti che è bene rimangano tali.

Altri punti del progetto sono: “sensibilizzare e favorire un atteggiamento di consumo consapevole e critico dei contenuti dei mass media”. E qui sorge la domanda su cosa si intenda per “consumo critico e consapevole” e da quale punto di vista. Ma il cuore di tutto è questo “prevenire ogni manifestazione di bullismo, favorendo un atteggiamento critico verso ogni forma di discriminazione e favorendo un atteggiamento di accoglienza nei confronti delle differenze individuali.

Favorire l’integrazione delle diversità culturali e di genere e promuovere una formazione dell’identità più libera e autentica.” Insomma, siamo alle solite, per prevenire le discriminazioni bisogna andare ad abbattere il senso dell’identità stesso e aprirsi alle “differenze”, prima ancora che sia formata la PROPRIA identità. Perché questo sembra il vero obiettivo di chi promuove certi corsi sin dalla più tenera età: sradicare all’origine tutto ciò che è stabile nella mente del bambino che potrà anche tradursi in quelli che vengono definiti “stereotipi” ma che forniscono loro delle certezze sull’identità maschile e femminile e sui diversi ruoli ricoperti dai due generi. E la stessa cosa vale per la scuola secondaria di primo grado a cui questi corsi sono anche rivolti, dato che si sta parlando sempre e comunque di personalità in formazione.

E infatti ci si chiede, come si possa entrare in dialogo con un’identità altra, se prima non si è formato la PROPRIA identità.

Ma la ciliegina sulla torta è, come si legge sulla scheda del progetto, nella parte rivolta ai docenti l’ incontro finale con gli psicologi “utile per avere un feedback rispetto agli esiti del progetto e per condividere buone prassi di educazione alle differenze.” E l’indottrinamento, degli insegnanti, anche, è servito!

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