14/06/2022

Il documento choc del Pride. Gualtieri e Zingaretti così avallano gender e utero in affitto

Giugno è tradizionalmente il mese degli esami e dell’inizio delle vacanze per quella fetta importante di cittadini, composta da studenti e professori. Giugno è il mese in cui inizia la stagione estiva, le belle giornate, così come continua il lavoro quotidiano di uffici, pubblica amministrazione e politica. Non a caso, infatti, si continua incessantemente a parlare di proposte di legge, elezioni, norme e quant’altro.

Ma secondo i media del potere, le multinazionali e tante istituzioni pubbliche, Giugno ormai dovrebbe essere per tutti – senza possibilità di dissentire – il mese dell’orgoglio gay, detto con voce anglofona altisonante Gay Pride.

E ci sarebbe tanto da dire già sul fatto che questa sfilata, definita da Marcello Veneziani come «chiassoso esibizionismo di massa» è oggi un puro prodotto delle classi dominanti e dei poteri forti. Non degli ultimi, degli sfruttati, dei marginali, degli invisibili, no. Ma delle marche più alla moda, delle multinazionali, dei personaggi dello spettacolo, delle lobby che contano, dei primi della classe.

Roma è la Capitale d’Italia e un simbolo pieno di storia e di valori: politici, morali e religiosi. Ma su questo non fa eccezione. Anzi. Purtroppo. Il sindaco Roberto Gualtieri, che non aveva in un primo momento dato al Pride il patrocinio, è sceso ugualmente in piazza assieme al presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, che invece l’ha concesso. E comunque ha dichiarato, con il linguaggio che piace ai potenti del Pride: «Roma è in prima linea sui diritti. Un Pride di gioia e di determinazione contro le discriminazioni. C’è ancora tanto da fare».

Anzitutto parlare di diritti è del tutto improprio perché il cittadino omosessuale ha dei diritti, costituzionalmente garantiti, in quanto cittadino, non in quanto omosessuale. E non ne ha né di meno, né di più degli altri. Mentre le parate gay a questo tendono: più diritti per chi afferma la propria tendenza omosessuale o transessuale o chi più ne ha più ne metta nel mare magnum degli “infiniti generi” proposti.

Una sorta di “quota arcobaleno”, dunque, che altro non sono che delle discriminazioni per chi non è omosessuale, transessuale, bisessuale e non fa parte del clan Lgbtq+. Non solo. La vicinanza politica e amministrativa, in particolare di Gualtieri e Zingaretti, al Pride, è pericolosa proprio per tutto quello che di politico portano avanti i Pride. In particolare quello della Capitale, che nel suo “documento politico” palesa senza mezzi termini tutto quel nichilismo valoriale che non lascia spazio ad interpretazioni. Un documento che porta avanti anche istanze illegali (e immorali) come l’utero in affitto e che dunque dovrebbe far riflettere chi ha concesso proprio a questa manifestazione il suo patrocinio o comunque il suo appoggio politico. Dobbiamo infatti pensare che Gualtieri e Zingaretti appoggino e portino avanti certe istanze e proposte di legge?

«Siamo – si legge nel documento - persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer, intersessuali, asessuali, aromantiche pansessuali, poliamorose, non binarie, gender fluid, drag queen e drag king». Non salta subito all’occhio la discriminazione di coloro, e sono la schiacciante maggioranza, che non si riconoscono in queste categorie aliene alla Costituzione? E poi si legge, esattamente come 30 anni fa, che «resta ancora da fare». E l’affermazione è vera in questo senso. Dato che tra i fini delle lobby di potere c’è la distruzione della famiglia tradizionale – perché se tutto è famiglia nulla lo è – ed è chiaro che l’istituzione matrimoniale, malgrado cedimenti e problemi, ancora tiene ed è amata e difesa da milioni di cittadini. Se tra i fini del Pride c’è il “gender” (e la sua dittatura) è chiaro che ancora sono “troppi” coloro che ammettono solo due sessi, quelli biologici di maschio e femmina, e dunque contro questa cultura che ancora regge «c’è ancora tanto da fare» per i pro-Lgbt.

Il documento, inoltre, afferma di opporsi alla guerra e a «una cultura che esclude e che cancella». Ma chi è che tende a dividere in modo manicheo i cittadini in cattivi (i presunti omofobi) e buoni (i gay friendly)? E a chiedere sanzioni da stato totalitario – con il ddl Zan per esempio – contro coloro che difendono la famiglia in base alla Costituzione o alla propria religione o semplicemente per le proprie convinzioni personali?

Scorrendo il testo si legge ancora: «La propaganda del potere più spietato e retrivo tenta sempre di colpire e alimentare odio nei confronti delle persone che si oppongono alle sue logiche oppressive». Il potere in effetti, in ciò che ha di più spietato (in senso etimologico), fa una propaganda indecente per sostenere la causa del Pride e cancellare ogni libertà di espressione dei recalcitranti. Persone arrestate e in tutta Europa perché non approvano il gender o le adozioni per coppie dello stesso sesso o hanno criticato l’imposizione di due padri o due madri o l’utero in affitto e magari lo hanno fatto semplicemente citando la Bibbia.

Non poteva poi mancare, nel documento, la critica a quello che è definito «l’infame passo indietro negli Stati Uniti in materia di diritto all’aborto». Premettendo che l’aborto non è un diritto, né a Roma, né a Washington, viene da chiedersi cosa c’entri con una manifestazione che porta avanti le istanze sessuali e affettive, non familiari o riproduttive. A meno che il Pride non sia anche uno strumento ideologico – e su questo ci sono pochi dubbi – per portare avanti delle cause diverse, sotto mentite spoglie.

Il documento, poi, si conclude con una serie di «Vogliamo» che sarebbe sterile ripercorrere in toto. In sintesi: la teoria del gender per tutti, la repressione del dissenso e – come si diceva – delle pratiche attualmente illegali in Italia. «Vogliamo – si legge - accesso garantito ai diritti riproduttivi per tutte le persone che lo desiderano, anche attraverso procreazione medicalmente assistita (PMA) e gestazione per altrə (GPA), e siamo per la totale difesa e applicazione della Legge 194, per il suo miglioramento e per il diritto all‘aborto chirurgico e farmacologico, contro ogni obiezione». Ecco, dunque, il passo falso di Gualtieri e Zingaretti. Con il loro appoggio al Pride, sono entrambi a favore anche della cosiddetta “GPA” (utero in affitto)? E sono anch’essi convinti, come da manifesto politico, che ogni obiezione di coscienza – diritto inalienabile di ogni lavoratore, soprattutto in ambito medico – vada soppressa?

Auguriamoci, contrariamente a questo documento, che le discriminazioni finiscano davvero. Contro chiunque e fatte in nome di qualunque ideologia. Auguriamoci che tutti i bambini del mondo possano avere un padre e una madre. Auguriamoci e lottiamo affinché la sessualità e il gender restino fuori dalle scuole.

La pace e la tranquillità si ottengono con il rispetto del bene comune e il rispetto di tutti, non con istante illegali e discriminatorie verso la maggioranza della popolazione e contro qualsiasi forma di critica o dissenso.

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