16/12/2023

Il diritto del bimbo nel grembo materno

Siamo una società che si arroga il diritto di decidere della vita di innocenti nel ventre materno, più propensi a pretendere diritti che a riconoscerli nel prossimo. Proni allo slogan di moda "il corpo è mio e lo gestisco io" di stampo sessantottino, non ci rendiamo conto invece di quanto proprio tale mentalità sia retrograda.

Lo dimostra la scienza, la storia e un sentire che non è quello che le masse armate di fumogeni e bombe vogliono dimostrare.

Se si scava indietro nella storia, già nel XII secolo giuristi come Azo e Graziano sostenevano un’ipotesi di omicidio per chi cagionasse un aborto a una donna a causa di lesioni, riconoscendo un diritto al concepito di non essere ucciso dal vero patriarcalismo, che non ha niente a che vedere con quello millantato dalle femministe. Si trattava in effetti di difendere la donna e il figlio dalle concrete violenze di genere all'ordine del giorno. 

Questo è importante per l'assunto giuridico che ne è a fondamento: si riconosceva che il bambino nel grembo possedesse un’anima che lo rendeva uomo, e quindi capace di diritto.

A partire da queste premesse storiche è palese la contraddizione in cui cadono le femministe, le quali sostengono che ci troviamo davanti a un grumo di cellule. Tale tesi è contrastata dalla vitalità che troviamo nel ventre materno: c'è scambio tra bambino e madre di salute fisica e mentale.

Ciò è vero sia ictu oculi - le donne incinte sono più gentili, più affabili e più serene anche se portano il peso di un cambiamento nel corpo - sia dalle risultanze mediche refertate, poichè la salute psicofisica di una donna che in gravidanza sopporta anche piccoli disguidi dovuti al cambiamento fisico è nel tempo migliore rispetto a quante scelgono l'aborto.

Il feto infatti produce delle sostanze che mantengono l’equilibrio psicofisico della donna, e attraverso il “microchimerismo” produce sostanze in grado di curare alcune patologie materne e che possono restare attive per decenni dopo il parto.

Il bambino nel grembo  è già vitale anche nell’esprimere un aiuto sociale alla madre; Oggi al fine concreto di essere titolari di diritti giuridici si ritiene che la capacità giuridica venga a esistere con la nascita. Ma si potrebbe dire che, anche se sulla carta non ha capacità giuridica e d'agire, in realtà egli o ella sia già un piccolo infermiere, medico, psicologo.

Madre e figlio/a assieme sono, da questo punto di vista, quel primordio di società che si aiuta nello scambio reciproco e nel realizzare reciprocamente le proprie attitudini. 

La protezione materna e l'apporto del feto alla madre sono in tal senso alla base del nucleo fondamentale e dello sviluppo della società umana.

Da ciò derivano due considerazioni. La prima vede la necessità di tornare indietro alla legge 194/78 e alla questione giuridica dell’aspettativa di nascere e poter usufruire dei diritti del codice civile. Si riconosce al nascituro la qualifica di essere in grado di avere la disposizione testamentaria o donativa fatta in suo favore già durante la gestazione (art 462 cc e 784 cc.). La giurisprudenza attesta poi che siano titolari di richiesta autonoma di risarcimento per danni i figli concepiti al momento del sinistro che abbia ucciso, ad esempio, uno dei genitori. Tutto ciò ci fa pensare che ci sia già un germe nella legislazione positiva che consenta di superare l’art 1 cc secondo il quale la capacità giuridica si acquisisce al momento della nascita. 

Chi sarebbe dunque responsabile della piena realizzazione di una posizione di aspettativa a tale diritto? E se il concepito non avesse in realtà già fattualmente tale capacità, chi sarebbe titolare dei diritti nascenti nelle more dell'evento?

È chiaro che la legislazione in futuro dovrebbe tenere conto che l'essere umano in formazione ha già un diritto a non veder leso il proprio diritto patrimoniale, ma anche di natura non patrimoniale (primo tra tutti il diritto alla vita dignitosa, riconosciuto a livello internazionale come il primo dei diritti umani dalla Cedu e dalla Convenzione internazionale dei diritti dell uomo) a un nome e a una famiglia naturale (uomo-donna).

La seconda considerazione pone l'attenzione sulla responsabilità dei genitori. Essendo il feto in formazione e non avendo capacità d’agire per tutelare i propri interessi, due sono gli istituti che devono essere approntati dal diritto positivo. In primo luogo occorre valutare la responsabilità dei genitori al pari di custodi, il che implica una panpenalizzazione di tutti i comportamenti perniciosi e che possano arrecare danno al feto, non solo di carattere personale (fumo, alcol, attività pericolose), ma anche sociale, quali pressioni psicologiche o morali nei confronti della donna. Per fortuna in tale ottica il diritto a tenere il bambino è effettivamente anche questo: esigere da parte di tutti i consociati il dovere di non ledere il proprio diritto alla maternità, un diritto che non lesino a definire assoluto (altro che patriarcale!). In secondo luogo bisogna considerare la possibilità dell’istituzione di un rappresentante del nascituro che riconosca e tuteli a livello statuale i diritti del feto.

Un primo passo avanti in questa direzione si fece nel 1981 quando fu  portato avanti un referendum al fine di escludere dall'ordinamento la nascente piaga abortiva. Fu però un passo di resistenza che incontrò non pochi ostacoli in una società non ancora pronta ad affrontare il problema.

Ricordo che in una conferenza il presidente dell'associazione NO 194 Pietro Guerini disse: «Vidi il responso del referendum con gente che scendeva in piazza a festeggiare perchè poteva abortire. Io sinceramente non capivo cosa ci fosse da festeggiare».

A distanza di 40 anni da quel triste epilogo s'avanza forse una sensibilità nuova nelle giovani generazioni, come testimonia la recente proposta di legge di iniziativa popolare "Un  cuore che batte" ( ex art 71 Cost e art 7 e 48 legge n 352/1970), che ha raccolto più di 106.000 firme in tutt'italia (il doppio di quelle previste dalla legge per poter presentare una proposta al vaglio del Parlamento), nonostante i gravi ostacoli frapposti dai burocrati abortisti, da una parte del sedicente mondo prolife e persino da una buona parte della CEI .

In tale proposta si chiede di inserire un comma all'art. 14 della legge sull'aborto, il comma 1 bis, che recita: «Il medico che effettua la visita che precede l'interruzione volontaria di gravidanza ai sensi della presente legge è obbligato a far vedere, tramite esami strumentali, alla donna intenzionata ad abortire, il nascituro che porta nel grembo e a farle ascoltare il battito cardiaco dello stesso». Una reale tutela per donna e bambino. La prima può così evitare di farsi prendere in giro da medici e ideologie che le raccontano menzogne sul «grumo di cellule» e il secondo finisce di essere trattato come una cosa, ma viene considerato quale persona con una propria dignità ed esistenza.

In definitiva, traendo lezione dal passato, dalla scienza e dalla retta ragione, è possibile superare quell’impasse che vede il femminismo moderno attaccare la sacralità della vita per tutelare, primo fra tutti, il diritto naturale di essere madre e donna responsabile.

Pamela Lirussi
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