17/04/2019

Il convegno della Lumsa e i rischi dell’utero in affitto

Prendiamo spunto dalle importanti parole pronunciate da Jennifer Lahl, la promotrice della campagna Stop Surrogacy Now, fondatrice e presidente del Center for Bioethics and Culture Network, all’interno del congresso tenutosi a Roma presso la Lumsa, qualche giorno fa, che ha dichiarato, in modo inequivocabile e cristallino, che «la maternità surrogata va abolita, non regolamentata. Non credo che la regolamentazione possa proteggere madri e bambini».

Una dichiarazione forte e decisa che deriva dalla consapevolezza dei rischi sia psicologici sia fisici che la maternità surrogata comporta. Ne ha parlato lo scorso febbraio anche l’American Journal of Obstetrics and Gynecology pubblicando uno studio condotto su 1.477.522 donne in stato di gravidanza da cui è emerso che le gravidanze ottenute tramite fecondazione artificiale hanno le più alte probabilità di ricoveri per terapia intensiva per la madre. Mentre uno studio comparso su Fertility and Sterility nel dicembre 2017 ha evidenziato che i bambini concepiti tramite fecondazione eterologa e utero in affitto, hanno una maggiore probabilità di nascere prematuri, sottopeso e di soffrire di diabete.

Siamo di fronte, dunque, a una scienza non a servizio dell’uomo ma, al contrario, senza freni etici che da supporto diventa strumento di sfruttamento dell’umano. Pensiamo, come messo in evidenza, anche dalla Lahl, ai contratti stipulati ad esempio tra le madri surrogate e i loro committenti in cui le gestanti sono trattate al pari di semplici contenitori che devono arrivare il più integri possibile fino alla fine della gravidanza. Da qui l’imposizione di diete alimentari ben precise, ma addirittura, in alcuni casi, come ha affermato il dott. Amar Jesani, direttore dell’indiano Journal of Medical Ethics, le donne sono totalmente e volutamente tenute all’oscuro dei rischi anche gravi che corrono, come avviene in India e in genere nei Paesi più poveri, dove la mancanza del consenso informato, arriva al punto che la donna non sa nemmeno quanti embrioni le siano stati impiantati e quindi non viene messa a conoscenza dei rischi legati alle gravidanze multifetali.

Situazioni che fotografano uno scenario di schiavismo moderno alimentato dalla cultura del desiderio a tutti i costi di ricchi occidentali sfruttatori. Uno scenario che ci auguriamo non diventi la “normalità” e pertanto è bene che si insista nel parlarne sempre, come nel convegno organizzato alla Lumsa, continuando a denunciare perché non si assopiscano mai le coscienze e il profitto non abbia mai la meglio sulla dignità di una vita umana.

Manuela Antonacci

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