04/05/2022 di Giuliano Guzzo

Gli Usa mettono in discussione l’aborto. E l’Italia?

Non ci sono dogmi, tutto è discutibile: perfino le sentenze considerate più intoccabili e sacre dalla cultura dominante. Fondato o meno che sia lo scoop di Politico – che ha diffuso ieri una bozza preliminare della sentenza nel caso Dobbs v. Jackson (in merito al divieto di aborto oltre le 15 settimane nel Mississippi), che rovescerebbe la storica sentenza Roe v. Wade del 1973 –, la lezione che arriva dagli Stati Uniti, alla fine, è questa: quando parliamo di leggi o pronunciamenti giudiziari, inclusi i più autorevoli, tutto è passibile di modifiche.

Apparentemente marginale o scontata, la lezione è in realtà molto significativa. E non solo perché conferma come, pur con tutte le loro contraddizioni, gli Stati Uniti siano una culla di democrazia che, come tale, è pronta a rimettere in discussione (quasi) tutto, ma anche perché offre lo spunto per chiedersi: e da noi? Se, per quanto siano solo notizie da confermare, negli Usa la Roe v. Wade del 1973 potrebbe essere ribaltata, cosa può succedere in Italia con la legge 194/78 che, come noto, ha aperto la strada all’aborto legale? Porsi un simile interrogativo non pare superfluo, anzi.

Ci sono molti motivi per cui dovrebbe essere riaperto quanto meno un dibattito sulla norma che Giorgio La Pira definì «integralmente iniqua». Il primo, legato a quanto già detto, è che parliamo di una legge che, come tale, può essere ridiscussa, se non altro perché non è mai stata neppure aggiornata, a distanza di decenni. Già questo è un aspetto che andrebbe preso in prioritaria considerazione, ma non è evidentemente il solo.

C’è inoltre da notare che, secondo una rilevazione internazionale a cura di Ipsos Mori diffusa nell’estate del 2020, in Italia l’ostilità all’aborto legale sarebbe un atteggiamento condiviso da ben il 30% degli italiani. Non solo, dal 2014 al 2020 le posizioni a favore dell’aborto legale, sempre secondo questa indagine, sono calate anche in Paesi storicamente in prima linea in questa battaglia abortista come Germania (-9%), Francia (-6%), Svezia (-3%), Gran Bretagna (-2%), oltre che in Spagna (-5%) e, appunto, Italia (-3%). Ecco che allora quanto meno un dibattito sulla 194 – già ragionevole di suo – troverebbe oggi milioni di italiani favorevoli.

Non è finita. Che la legge sull’aborto dovesse essere oggetto di un dibattito era opinione condivisa, attenzione, perfino da chi la introdusse, che la riconobbe fin dall’origine come una norma perfettibile e da aggiornare. A ricordarlo era stato, non molti anni fa, Carlo Casini, magistrato, esponente Dc e storico presidente del Movimento per la vita. «Il dato principale di quella legge è che fu fatta in fretta», aveva infatti rammentato lo storico leader pro life italiano, «basti ricordare le parole del relatore di maggioranza dell'epoca, Giovanni Berlinguer che disse 'siamo costretti ad approvarla per evitare il referendum', poi ci ripenseremo».

Si temeva, infatti, che il referendum avrebbe favorito il terrorismo e dissolto la solidarietà nazionale. Oggi più di ieri, quindi, un dilemma sorge spontaneo: se perfino negli Usa non si considera intoccabile una sentenza così storica come la Roe v. Wade – che arrivò anni prima della 194 -, perché da noi non avviare un simile dibattito? Tanto più, ecco il punto forse più doloroso di tutto il discorso, che parliamo d’una legge che, scritta com’è oggi, non è stata neppure applicata fino in fondo, facendo risultare la «tutela sociale della maternità» - che non è un auspicio del mondo pro life, ma la prima parte del suo nome ed è contenuta nei primissimi articoli della legge – un mero enunciato, in concreto, quasi mai applicato.

Gli Stati Uniti ci stanno ripensando quasi 50 anni dopo. Forse anche in Italia, 44 anni dopo, è il caso di porre rimedio a questa situazione.

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