01/09/2016

Fertility Day, impazza la polemica: bimbi sì o no?

Il Governo ha promosso, per il prossimo 22 settembre, il Fertility Day. E sul web è subito impazzata la polemica, complici soprattutto le cartoline realizzate per l’evento e la scarsa volontà di informarsi delle persone, anche di alcune di quelle che registrano un certo seguito.

«Datti una mossa! Non aspettare la cicogna», «La bellezza non ha età, la fertilità sì», «Il rinvio della maternità porta al figlio unico. Se arriva». Sono questi solo alcuni degli slogan che hanno determinato l’indignata protesta, con il Ministro Beatrice Lorenzin attaccata da ogni parte.

Mettiamo subito in chiaro una cosa: nessuno ha qui l’intento di difendere l’attuale Governo. Tuttavia, in quei rari casi in cui qualche ministro ha il coraggio di compiere azioni che hanno senso e che dimostrano capacità di pensiero lungimirante, è giusto prenderne atto.  Il vulnus, anche grave, in tutta l’operazione è che sotto sotto promuove anche la fecondazione artificiale e la solita “educazione sessuale globale” – che alla fine è educazione alla contraccezione, per i giovanissimi. Ma il messaggio di base (“sbrigatevi a fare un figlio, prima che sia troppo tardi”), se arrivasse davvero alle ragazze e alle giovani coppie è buono e giusto.

Leggiamo sul sito del Ministero della Salute: «Il primo “Fertility day” si celebra il 22 settembre 2016 per richiamare l’attenzione di tutta l’opinione pubblica sul tema della fertilltà e della sua protezione. La sua Istituzione è prevista dal Piano Nazionale della Fertilità per mettere a fuoco con grande enfasi:

  • il pericolo della denatalità nel nostro Paese
  • la bellezza della maternità e paternità
  • il rischio delle malattie che impediscono di diventare genitori
  • l’aiuto della Medicina per le donne e per gli uomini che non riescono ad avere bambini

L’evento coinvolgerà tutti i Comuni Italiani attraverso l’Anci, e tutti gli attori e gli stakeholder in numerose iniziative di sensibilizzazione e approfondimento: giovani, famiglie, medici, farmacisti, ordini professionali, associazioni e società scientifiche».

cicogna_fertility-day_Governo_figli_LorenzinChi ha letto queste poche frasi ed è a conoscenza di alcuni basilari dati statistici e scientifici non può avere alcunché da obiettare.

Forse la Lorenzin è stata allarmata dalla pubblicazione degli ultimi dati Istat, secondo i quali: «Nel corso del 2015 il numero dei residenti ha registrato una diminuzione consistente per la prima volta negli ultimi novanta anni: il saldo complessivo è negativo per 130.061 unità. Il calo – veniva poi precisato – riguarda esclusivamente la popolazione di cittadinanza italiana – 141.777 residenti in meno – mentre la popolazione straniera aumenta di 11.716 unità»

L’Italia sta vivendo forse la più grande crisi economica dai tempi dei grandi conflitti bellici mondiali e questo – a dirlo sono gli economisti – si sta verificando soprattutto perché non nascono più bambini. Chi vorrebbe rovesciare il ragionamento, sostenendo che prima bisogna avere i soldi e poi si fanno i bambini, dovrebbe pensare agli anni Cinquanta: finita la guerra c’erano forse soldi in disavanzo? No. Ma c’erano il coraggio e la speranza nel domani, e anche un briciolo di abbandono alla Provvidenza e nel fatto che «Ogni bimbo viene con il suo fagottino». Sono questi fattori che hanno portato al Boom economico degli anni Sessanta, non è successo il contrario: ce lo insegnano i nostri nonni e genitori, ma anche i dati dell’economia. Infatti, la tendenza al figlio unico ha cominciato ad affermarsi negli anni Ottanta, ossia quando i soldi c’erano. Insomma: “non faccio figli perché non ho soldi e ho soldi quindi non faccio figli”. Forse, allora, il problema sta altrove?

Veniamo ora al secondo punto: la bellezza della paternità e della maternità. Chiaro, in un contesto socio-culturale in cui si sostiene che un bambino può crescere con due genitori dello stesso sesso e che definisce la mamma un “concetto antropologico”, tutto questo può dare fastidio. Molto fastidio. Ma questo non toglie nulla alla verità dell’affermazione: essere mamma, essere papà è bello. Impegnativo, faticoso, incredibilmente difficile, ma bello. Provare per credere.

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Infine, gli ultimi due punti posti in evidenza dal Fertility Day: il rischio delle malattie che impediscono di diventare genitori e l’aiuto della medicina per le donne e per gli uomini che non riescono ad avere bambini. Basterebbe questo per sedare gli animi di tutti quelli che – con linguaggio più o meno colorito – hanno criticato la campagna del Governo. Nessuno ha mai voluto accusare o svilire chi non ha figli o, ancora più, non riesce ad averne. Non vedere coronato il desiderio di diventare genitori è fonte di enorme sofferenza e, di certo, la fecondazione artificiale (omologa o eterologa che sia) non costituisce una valida soluzione.

Il Fertility Day non va contro queste persone, anzi ha proprio l’intento opposto! Ha infatti l’obiettivo di favorire una presa di coscienza sul tema della fertilità per evitare che tante coppie – sempre di più – si trovino a dover affrontare il dolore di non poter diventare genitori. E questo lo si fa con la prevenzione: tornando finalmente a dire che i figli si fanno da giovani, che lo stile di vita incide in maniera determinante sull’indice di fertilità, che i bambini sono più importanti della carriera... tutte cose acclarate dalla scienza e comprensibili con il semplice buon senso.

Viste le polemiche, ad ogni modo, il Ministero ha ritenuto utile precisare con una nota che: «Non si è colto lo spirito dell’iniziativa. La fertilità può essere inficiata da stili di vita non sani. La prevenzione è la mission del ministero».

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Un’ultima postilla. A tutti coloro che non hanno gradito lo slogan del Fertility Day che recita: «La fertilità è un bene comune» e hanno risposto rispolverando il vecchio e ritrito: «L’utero è mio e lo gestisco io!», vorrei porre una semplice domanda: ma siete proprio convinti/e che il femminismo post-sessantottino abbia favorito le donne? Capita solo a me di vedere signore quarantenni in carriera, piegate su uno stile di vita maschile, prive di qualsiasi briciolo di accoglienza (prerogativa essenzialmente femminile), ovviamente senza figli, e perennemente arrabbiate con se stesse e con il mondo?

Ogni volta che vedo queste donne mi chiedo: non è che tradendo la propria vocazione alla maternità (gli uomini potranno costruire San Pietro, ma un figlio lo fa solo una donna!) e all’accoglienza, le donne sono rimaste con un pugno di mosche in mano?

Teresa Moro

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