07/08/2016

Femminicidio: all’origine l’hybris, come nell’ideologia gender

I recenti casi di violenza sulle donne, sfociati tragicamente in omicidi, hanno riacceso il dibattito sull’urgenza di leggi speciali, principalmente tese ad inasprire le pene, per contrastare il fenomeno del femminicidio.

Ma soprattutto i tristi episodi di cronaca hanno riportato l’attenzione sull’emergenza della cosiddetta educazione al rispetto “di genere” da impartire fin dalle scuole primarie così come previsto nelle norme al comma 16 della legge 107 .

Nessuno riflette sul fatto che i Paesi che hanno messo in pratica i principi della convenzione di Istanbul, come vorrebbe la legge 107, tipo Svezia, Norvegia e Danimarca non hanno visto diminuire negli ultimi anni i casi di violenza sulle donne ma addirittura il numero di tali casi risulta sensibilmente superiore rispetto ad altri paesi da questo punto di vista considerati “arretrati”, primo fra tutti l’Italia.

La semplice osservazione di questi fenomeni, tutt’altro che in via di diminuzione anche nei paesi che da anni si adoperano a promuovere la convenzione, farebbe dunque pensare che non è una educazione sessuale pervasiva, da impartire fin dalle scuole primarie né l’inculcare nelle giovani menti una ideologia che separi nettamente il sesso biologico dal genere a educare l’uomo al rispetto e che lo tenga lontano dalla violenza nei momenti di maggiore debolezza, ma probabilmente tale violenza deriva da una natura umana profondamente ferita e i rimedi andrebbero forse cercati per altre strade.

Un grande conoscitore della natura umana, come Giovanni Paolo II diede, nel 1988, risposte a molti dei quesiti che ad oggi ancora ci interrogano scrivendo la lettera apostolica Mulieris Dignitatem.
A distanza di quasi trent’anni gli spunti contenuti in questa lettera sono ancora di un’attualità disarmante e possono essere riletti e meditati traendo importanti insegnamenti.

È utile rileggere alcuni punti che riguardano la ferita profonda del cuore dell’uomo, che spesso sfocia in cieca violenza e che ha origine con il primo peccato. Il peccato originale è un mistero e come tutti i misteri ha una natura imperscrutabile con la sola ragione umana ma non per questo è irrazionale: è l’hybris di Prometeo, la mancata accettazione del limite, il voler essere come Dio, l‘abusare della libertà.

“ L’uomo, sia maschio che femmina, è una persona e, dunque (...)  «non può ritrovarsi se non mediante un dono sincero di sé»[32]. Da qui prende inizio il rapporto di «comunione», nella quale si esprimono l’«unità dei due» e la dignità personale sia dell’uomo che della donna. Quando dunque leggiamo nella descrizione biblica le parole rivolte alla donna [a seguito del peccato originale, NDR]: «Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà» (Gen 3, 16), scopriamo una rottura e una costante minaccia proprio nei riguardi di questa «unità dei due», che corrisponde alla dignità dell’immagine e della somiglianza di Dio in ambedue. Tale minaccia risulta, però, più grave per la donna. Infatti, all’essere un dono sincero, e perciò al vivere «per» l’altro subentra il dominio: «Egli ti dominerà». Questo «dominio» indica il turbamento e la perdita della stabilità di quella fondamentale eguaglianza, che nell’«unità dei due» possiedono l’uomo e la donna: e ciò è soprattutto a sfavore della donna, mentre soltanto l’eguaglianza, risultante dalla dignità di ambedue come persone, può dare ai reciproci rapporti il carattere di un’autentica «communio personarum». (...) Nello stesso tempo (il peccato originale) diminuisce anche la vera dignità dell’uomo. Tocchiamo qui un punto estremamente sensibile nella dimensione di quell’«ethos» che è inscritto originariamente dal Creatore già nel fatto stesso della creazione di ambedue a sua immagine e somiglianza.”

Successivamente il Pontefice tocca anche il tema dei diritti della donne partendo però da un presupposto fondamentale che contrasta in maniera evidente con l’ideologia gender: l’esistenza fin dall’origine di caratteristiche maschili e femminili naturali ed intimamente facenti parte della natura umana sessuata.
Perciò, anche la giusta opposizione della donna di fronte a ciò che esprimono le parole bibliche «Egli ti dominerà» (Gen 3, 16) non può a nessuna condizione condurre alla «mascolinizzazione» delle donne.

La donna – nel nome della liberazione dal «dominio» dell’uomo – non può tendere ad appropriarsi le caratteristiche maschili, contro la sua propria «originalità» femminile. Esiste il fondato timore che su questa via la donna non si «realizzerà», ma potrebbe invece deformare e perdere ciò che costituisce la sua essenziale ricchezza. Si tratta di una ricchezza enorme. Nella descrizione biblica l’esclamazione del primo uomo alla vista della donna creata è un’esclamazione di ammirazione e di incanto, che attraversa tutta la storia dell’uomo sulla terra.

Le risorse personali della femminilità non sono certamente minori delle risorse della mascolinità, ma sono solamente diverse. La donna dunque – come, del resto, anche l’uomo – deve intendere la sua «realizzazione» come persona, la sua dignità e vocazione sulla base di queste risorse, secondo la ricchezza della femminilità, che ella ricevette per natura  e – per chi crede – nel giorno della creazione e che eredita come espressione a lei peculiare dell’«immagine e somiglianza di Dio».

Queste parole non indicano ovviamente facili rimedi agli episodi di violenza con cui facciamo i conti ogni giorno, ma inquadrano la questione da un punto di vista che mira all’essenzialità dell’uomo e che sembra al giorno d’oggi ormai dimenticato per far spazio a visioni più materialistiche ed ideologiche che sono chiaramente fallimentari.

Ferdinando Costantino

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