23/11/2023 di Matteo Delre

Deriva Lgbt Disney inarrestabile. Arrivano i pronomi neutri per i dipendenti del Parco Giochi

Immaginate di voler fare una sorpresa straordinaria ai vostri bambini e, invece dei soliti pacchetti e pacconi infiocchettati, far trovare loro sotto l’albero delle semplici buste sigillate. «Ma… e i regali?», vi chiederebbero con occhi delusi e lacrimosi. Salvo poi scoprire che le buste contengono biglietti aerei per Orlando, in Florida, USA, e ticket d’ingresso per il magico “Disney World”, da sempre considerato il più incredibile parco di divertimenti al mondo. Grandi feste, grandi gioie, incominciano i preparativi per la partenza, per poi ritrovarsi davanti ai custodi delle aree divertimento e sentirli dire: «ciao a tutti! Siamo felici di aver introdotto le etichette con il pronome! Le etichette con il pronome ci aiutano a comprenderci meglio reciprocamente e a portare un impatto positivo nella nostra comunità». Il tutto indicando un cartellino ben visibile sul petto con su scritto il pronome di preferenza, “she/her”, “they/them”, “ckfdsl/ppflalp”, a piacimento.

Tanta fatica e tanti soldi, insomma, per finire sottoposti, fin dal primo impatto con il parco, a tentativi di indottrinamento distopico di marca LGBTQ+. Questa infatti è l’ultima trovata della Disney, che al momento coinvolge soltanto i custodi delle aree del parco, ma a breve verrà estesa a tutti i dipendenti. Chissà, forse anche alle maschere di Topolino, Minnie e Pluto. Si tratta, com’è noto, del passo più recente della major americana all’interno del delirante mondo arcobaleno. È ormai un fatto assodato che in tutte le sue produzioni Disney gareggi con Netflix (e per ora la vinca) per la quantità di contenuti LGBTQ+ che vi vengono inseriti, sia che si tratti di meri elementi di contesto, sia che si tratti di veri e propri protagonisti gay o transgender. A fianco a ciò, non manca la sezione puramente femminista, fonte di campioni olimpici del flop planetario, come il recente “The Marvels”.

Ben intesi: nulla di male di per sé, se nell’economia di una narrazione è necessario inserire una persona omosessuale o transgender. In questo caso però ci sono due problemucci non trascurabili: il primo è che Disney impone questo genere di personaggi a caso, senza alcuna connessione reale con il plot, ovvero solamente per ottemperare al dovere ideologico di imporne la presenza e l’esistenza, quasi che il pubblico non ne fosse già consapevole. Il secondo, ben più grave, è che i prodotti Disney sono indirizzati a una platea di giovani e giovanissimi, di età tali da non essere ancora in grado di capire a fondo i motivi di quel tipo di diversità. Essendo legata a fattori identitari sessuali, e non essendo i piccoli e piccolissimi ancora psico-fisiologicamente coinvolti nella sfera dello sviluppo sessuale, il messaggio veicolato risulta quanto mai improprio. A meno che, come sospettano molti, non ci sia il recondito piano proprio di coinvolgere quanti più bambini possibili e molto anzitempo all’interno della sfera sessuale. Per sfruttarli ad agio della pedofilia o per alimentare il mostruoso business delle “transizioni”.

Come che sia, una cosa va sicuramente ammirata della Disney e del suo management: la fede incrollabile. L’ideologia LGBTQ+ si è ormai talmente radicata in loro, è così tanto assurta al livello di un credo, che essi non cedono di un’unghia dal loro percorso, nonostante le sonorissime bastonate prese dai loro clienti, ormai da tempo in vertiginosa caduta. Bob Iger, CEO di Disney, sta affrontando una crisi aziendale colossale, che l’ha costretto a tagliare la bellezza di 7.000 posti di lavoro in tutto il mondo e a pianificare ulteriori tagli per 2 miliardi di dollari. Senza contare il valore delle azioni della società, crollato di oltre il 50% nel giro di due anni. Sebbene dunque gli eredi del mitico Walt, che ormai è un funambolo dentro la sua tomba, stiano vivendo un vero e proprio business disaster, il programma ideologico procede cocciutamente, in un’implacabile applicazione del famoso detto “go woke, go broke” (fai il progressista e vai in rovina). Iger & Co., insomma, mentre sempre più utenti disdicono gli abbonamenti a Disney Plus e ad altre piattaforme collegate, hanno la ferma intenzione di portare la Disney in mutande e paillettes alla meta.

Pur nel rispetto e nel ricordo quasi sacrale per la Disney che fu, a noi non resta che dare un piccolo ma importante contributo al processo autodistruttivo della major oggi arcobaleno. Dunque, sotto l’albero, ai bimbi fate trovare i giocattoli e le strenne tradizionali, ma anche qualche bel libro di favole o storie tradizionali, quelle costruite apposta per indurre i piccoli a pensare e crescere. Perché niente più di un individuo maturo e pensante rappresenta un paletto di frassino nel cuore delle distopie contemporanee, a partire proprio da quella LGBTQ+.

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