Con i soldi dei contribuenti, ben 900.000 euro, la Regione Puglia finanzia il cosiddetto “social freezing”, ossia la crioconservazione degli ovuli per motivi non medici. Questo finanziamento non solo rappresenta una pressione indebita sulle giovani donne, ma le spinge verso una pratica che è tutt'altro che salutare e statisticamente fallimentare. Dietro le belle parole di “autodeterminazione riproduttiva”, e altri slogan simili, le giovani donne vengono spinte ad una pratica, cioè la crioconservazione degli ovuli, che comporta rischi significativi troppo spesso taciuti per la loro salute, per la stimolazione ovarica e l’intervento chirurgico per il prelievo degli ovociti, e che non è in grado di assicurare una gravidanza futura, visto che la percentuale di successo già molto bassa cala con l’età.
Non è chiaro per quali ragioni la Regione Puglia decida, mettendo a rischio la salute delle donne e dei bambini, di rimpinguare un industria, quella della PMA, che si fonda sulla ‘produzione’ di milioni di esseri umani, che poi vengono selezionati, scartati, congelati o eliminati: su 10 embrioni ‘prodotti’, meno di uno riesce a nascere, con un rischio “statisticamente significativo” di numerose patologie, incluse malattie oncologiche.
Altro che diritto: il social freezing rappresenta una pressione indebita sulle scelte personali, che spinge i giovani a procrastinare la genitorialità con false speranze, e con un enorme costo sociale ed emotivo, anziché metterli in condizioni di accogliere il loro desiderio di genitorialita al momento opportuno.
Così Maria Rachele Ruiu, portavoce di Pro Vita & Famiglia onlus, commenta la misura della Regione Puglia, la prima in Italia di questo tipo, che prevede un contributo una tantum, fino a 3.000 euro, per donne tra i 27 e i 37 anni, per accedere alla pratica di congelamento degli ovuli per fini sociali, per un totale di 900.000 euro di fondi stanziati per il triennio 2025-2027.