18/12/2023 di Sabina Pirchi

Anche l’America frena sugli ormoni ai bambini

Nel 2018 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha tolto la disforia di genere dall’elenco delle malattie mentali facilitando, di fatto, l’iter per il cambio di sesso. Fin da giovanissimi.

Il processo, come si legge nella Commissione Parlamentare per l’Infanzia e l’Adolescenza del 6 aprile 2022, dopo una prima fase di “osservazione e attesa” prevede, all’ingresso nella pubertà, la somministrazione dei farmaci cosiddetti bloccanti ipotalamici (triptorelina) - spesso seguiti da interventi chirurgici – e può essere attivato alla presenza di disagio e sofferenza causati dal proprio corpo per un periodo superiore ai sei mesi insieme ad atteggiamenti quali il prediligere giochi, vestiti e ruoli legati al sesso opposto. Inoltre non può mai essere attivato da un medico qualsiasi ma ci si deve rivolgere ad un esperto operante nelle cliniche specializzate.

Tutte queste, a qualcuno, potrebbero sembrare premesse ragionevoli se non fosse che dai paesi dove tale “protocollo olandese” è stato applicato da prima di noi arrivano notizie tutt’altro che rassicuranti: in Inghilterra lo scorso anno ha chiuso la Tavistock Clinic, tra accuse di “esperimento di massa sui minori” e dimissioni collettive di medici lì impiegati dovute a ragioni di coscienza; la psichiatra finlandese Riittakerttu Kaltiala, per anni pioniera dei trattamenti a base di bloccanti della pubertà ed ormoni è ora portavoce di denunce verso queste terapie ritenute pericolose e prive di fondamenti scientifici; in America, da ultimo, stanno partendo le prime cause contro i medici e perfino contro l'Associazione dei Pediatri Americani (AAP) da parte dei cosiddetti detransition, giovani uomini e giovani donne che pentiti del percorso di cambio sesso iniziato da bambini desiderano far conoscere la sofferenza e le difficoltà psicologiche affrontate.

Il comun denominatore di tutte le dichiarazioni che hanno accompagnato questi avvenimenti è stato l’aver svelato le conseguenze dovute all’assunzione di tali farmaci, che ancora da noi in Italia si dicono privi di effetti collaterali ed assolutamente reversibili. I due transitioner che hanno fatto causa per negligenza ai propri medici in America hanno confermato con le loro affermazioni le conclusioni di uno studio pubblicato sul British Medical Journal già nel 2021, nel quale si sosteneva che i medicinali bloccanti non alleviassero la sofferenza psichica delle giovani e dei giovani sottoposti a questa “terapia” (cosa che invece viene assicurata ai genitori per convincerli del fatto che iniziare il percorso sia il miglior modo per proteggere i propri figli dai tentativi di suicidio ed autolesionismo che spesso accompagnano queste situazioni di sofferenza). Nello studio si legge anche che al termine del trattamento farmacologico, avvenuto all’età di 16 anni nei bambini facenti parte della popolazione statistica analizzata, si è constatata anche una crescita ridotta dell'altezza e della forza ossea.

Un altro studio recente in materia menzionato da Bernard Lane su Gender Clinic News, condotto dalla ricercatrice Lisa Littman insieme alla psicoterapeuta Stella O’Malley, la detransitioner Helena Kerschner, il sessuologo J. Michael Bailey e pubblicato su Archives of Sexual Behavior ha concluso che i giovani, tutti identificatisi nel sesso opposto per 5 anni, hanno sperimentato un netto miglioramento della loro salute psicologica dopo aver interrotto le cure o aver rinunciato alla loro identità transgender, cosa avvenuta più per questioni interiori come riflessioni personali, un cambiamento di percezione della definizione di maschio e femmina, o l’aver capito di essere più a proprio agio nel sesso di nascita, piuttosto che a seguito di fattori esterni come la discriminazione.

Un altro fattore importante che emerge è l’aver scambiato per disforia di genere problemi di salute mentali e traumi pregressi, aggiungendo di fatto sofferenza a persone bisognose di altri tipi di accompagnamento terapeutico: prima della transizione le diagnosi psichiatriche più comuni erano state depressione (63%), disturbo da deficit di attenzione (24%), disturbo alimentare (23%), disturbo ossessivo compulsivo (18%), disturbo da stress post-traumatico (15%), disturbo bipolare (12%), tricotillomania (10%), disturbo dello spettro autistico (9%). Molte/i poi hanno avuto esperienze traumatiche durante l’infanzia come abusi in famiglia.

Altro nodo rilevante è che la maggior parte di quelli che hanno assunto ormoni cross sex (testosterone per le donne, estrogeni per gli uomini)  ha dichiarato di averli ottenuti attraverso un modello di consenso informato troppo rapido, tanto che due terzi del campione ritiene di non essere stato sufficientemente informato sui rischi e sulle conseguenze a lungo termine.

Infine gli autori dello studio si dicono consapevoli dei limiti dello stesso, dovuti al ridotto campione preso in esame poiché riguardante “solo” 71 donne e 7 uomini americani, di età compresa tra i 18 e i 33 anni, ma ad oggi è uno dei pochi studi condotti in materia. Mancano infatti adeguati follow up dei pazienti, in America come in Italia e altrove.

Nonostante queste dichiarazione che ci giungono da diversi paesi infatti, in Italia ancora non arriva nessun segnale critico da parte della società di Pediatria e da quella di Endocrinologia, che anzi hanno espresso il loro favore alla terapia affermativa (fatto salvo per alcune prese di posizioni contrarie individuali).

Nulla si sa inoltre del numero di minori trattati: di quanti abbiano cominciato una cura con i bloccanti della pubertà oppure direttamente con ormoni cross-sex o siano poi tornati al sesso di nascita, né dei protocolli effettivamente applicati. Soprattutto, non si hanno dati sugli effetti positivi di questi trattamenti sulla salute mentale dei giovani che si rivolgono a questi centri e a denunciarlo sono in primis le famiglie dei ragazzi e delle ragazze che vengono iniziati a questi percorsi, spesso lasciati soli con le loro domande ed i loro timori, quando non accusati di omofobia proprio a causa di questi.

Ci si  augura che gli stimoli che stanno arrivando dagli altri paesi facciano partire una sana riflessione critica anche qui da noi, per garantire davvero un accompagnamento adeguato a chi mostra questo tipo di sofferenza.

 

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