27/09/2019 di Redazione

Utero in affitto: come funziona il business della maternità surrogata

Altruismo o egoismo? Diritto o capriccio? Origini e implicazioni della "surrogazione di maternità"

Indice

Cos’è l’utero in affitto. Definizione

Per "utero in affitto" si intende un accordo fra due o più parti, in virtù del quale una donna si impegna, dietro compenso o a titolo gratuito, a farsi fecondare o a farsi impiantare un ovulo fecondato al fine di portare a termine una gravidanza per conto di uno o più committenti, e a consegnar loro il bambino dato alla luce rinunciando a ogni diritto su di esso. Lo scopo del contratto è di sopperire all’infertilità dei committenti e soddisfare così il loro desiderio di maternità/paternità.

 

Le persone coinvolte

Dunque i soggetti coinvolti nella vicenda sono:

  1. La madre surrogante, colei che presta il proprio utero. Si badi che nel linguaggio comune è invalsa l’espressione “madre surrogata” che, però, costituisce un’inesattezza. Tecnicamente la "surrogante" è colei che sostituisce la donna infertile (o assente) e si presta, in sua vece, a portare avanti la gravidanza; la "surrogata" è colei che viene sostituita e che, se committente, riceverà il bambino. A scanso di equivoci precisiamo che nel corso della trattazione useremo sempre la prima dizione;
  2. I committenti (o "genitori intenzionali"), coloro che si rivolgono alla surrogante, tramite intermediari ad hoc, per ottenere un bambino. Può trattarsi tanto di coppie (eterosessuali od omosessuali) quanto di singoli (uomini o donne);
  3. La eventuale venditrice dell'ovulo. Qualora, per ottenere l’embrione, non si abbia fatto ricorso né ai gameti della surrogante né a quelli della surrogata, ecco che entra in scena una terza figura "genitoriale" che si limita a fornire il proprio "materiale biologico" per la fecondazione. Si tratta in tal caso della sola madre biologica dal punto di vista genetico, laddove la surrogante, condividendo con il bambino un rapporto anch'esso di natura biologica, lo è però dal punto di vista epigenetico (o gestazionale);
  4. L'eventuale venditore del seme. Stesso discorso di cui sopra: qualora lo sperma non sia fornito dal committente, il rapporto si arricchisce di una quarta "figura genitoriale". Si tratta in tal caso del solo padre biologico. Precisiamo di usare la denominazione "venditori" di gameti, in luogo della più comune "donatori", non ricorrendo praticamente mai la cessione a titolo gratuito e trattandosi sempre di compravendite;
  5. Gli intermediari. Sono enti specializzati che gestiscono l’intera procedura, in autonomia o di concerto con cliniche e studi legali convenzionati, curando sia l’aspetto medico (approvvigionamento di gameti, fecondazione artificiale, impianto dell’embrione, assistenza alla gravidanza), sia quello giuridico (con la predisposizione del contratto, di cui parleremo in dettaglio più avanti);
  6. Il bambino oggetto del contratto. Costui potrà arrivare ad avere fino a cinque "genitori", dei quali nessuno lo è integralmente e in senso proprio: padre e madre intenzionali, che potranno divenire a tutti gli effetti adottivi, padre e madre biologici, dai quali proviene l'ovulo fecondato, e infine la madre partoriente che lo ha dato alla luce.

 

Utero in affitto, maternità surrogata, gestazione per altri: nomi diversi, una sola realtà

In certa letteratura giuridica si sono affermate alcune espressioni per distinguere le varie ipotesi riscontrabili nella prassi. Non si tratta di un uso comunemente accettato, ma può valere la pena riportare queste distinzioni per avere un’idea di quanto sia facile lo "smottamento semantico" in questa materia. Così, se il nato ha un legame genetico con l'uomo committente e con la madre surrogante, si parla di surrogazione di maternità o maternità surrogata (talvolta aggiungendo l'aggettivo "tradizionale"); se invece l’embrione è fecondato all’esterno dell’organismo della donna surrogante – tramite ovulo fornito dalla committente o da un’altra donna – e successivamente trasferito nell’utero della surrogante, si parla di "locazione d’utero", "utero in affitto", "maternità surrogata gestazionale" o "gestazione per altri". Le diverse denominazioni riflettono solo la diversa origine biologica del concepito, ma l’essenza della procedura rimane invariata. 

 

L’oggetto del contratto: il bambino (e non solo)

Contrariamente a quanto si possa pensare, una regolamentazione normativa che disciplini il contratto di utero in affitto, stabilendo un perimetro legale, non serve a evitare gli abusi a danno delle donne surroganti, anzi per certi aspetti li agevola. Analizziamo di seguito il modello di un contratto-tipo, come se ne stipulano tanti negli Stati Uniti. Facciamo qui riferimento a un modulo contrattuale usato nello Stato della California.

Preambolo:

Il tipico contratto di utero in affitto si apre con i nomi dei committenti e il nome della surrogante. La parola "madre" non viene mai usata. Segue la dichiarazione che la surrogante è pienamente informata e non intende far valere diritti genitoriali. In genere, c’è scritto chiaramente che l’oggetto del contratto non è l’acquisto di un bambino, né il consenso della surrogante alla consegna del bambino per l’adozione (le sezioni 181 e 273 del codice penale della California vietano la vendita di bambini o la coercizione a consegnare ad altri il proprio figlio). Eppure la realtà è esattamente quella.

Visite mediche:

Segue poi l’obbligo per la surrogante di sottoporsi a molti test, screening medici e psicologici. Qualche volta anche i compratori devono sottoporsi a una valutazione di idoneità da parte di uno psicologo. Seguono i termini del pagamento, le spese rimborsabili (indennità per l’abbigliamento, rimborso della benzina e del chilometraggio per le visite mediche, salari persi nel caso in cui la surrogante debba assentarsi dal lavoro o smettere di lavorare a causa di complicazioni legate alla gravidanza, ecc.).

desiderata dei compratori:

Segue poi uno degli aspetti più preoccupanti di tali contratti: le clausole aggiunte con tutti i desiderata dei committenti. Costoro possono controllare quasi ogni dettaglio della vita privata della surrogante fino al momento della nascita, dal che si evince chiaramente l’uso dell’intero corpo della donna, per tutta la durata della gravidanza, come un oggetto di commercio. La maggior parte dei contratti controlla esplicitamente la dieta, l’esercizio fisico, lo stile di vita, i viaggi e tutte le attività della surrogante. Chi pretende che la donna segua una dieta vegana o macrobiologica, chi vieta alla madre di tingersi i capelli; qualche contratto prevede che la surrogante (e il suo eventuale marito) si impegnino a non creare alcuna relazione genitore-figlio con il bambino.

La privacy:

Tutte le norme sulla riservatezza circa le informazioni sulla salute personale, che in California sono molto rigorose, con la madre surrogante vengono completamente disattese. I compratori hanno diritto a tutte le notizie mediche che vogliono, sia sulla sua salute fisica, sia sulle sue eventuali sedute presso uno psicologo. I contratti prevedono anche l’accesso diretto dei committenti a tutte le sue cartelle cliniche.

La vita sessuale:

I contratti, poi, dispongono anche della vita sessuale della surrogante, che si impegna a non avere alcun rapporto sessuale o intimo con alcuno, oppure ad averne solo con il partner che si sottoponga a determinati test medici e venga quindi approvato dai compratori.

Il diritto all'aborto:

Nei contratti c’è di solito una clausola di aborto e/o risoluzione: i compratori si riservano il diritto di far terminare la gravidanza entro 18 settimane. Diritto che possono esercitare a richiesta, in modo assoluto e senza dover addurre alcuna spiegazione o giustificazione. A maggior ragione, il diritto all’aborto (non della donna incinta, dei committenti) può essere esercitato in caso di eventuali anomalie genetiche o altri difetti del nascituro. Può essere previsto anche l’aborto sesso-selettivo. I compratori, poi, si riservano il diritto ultimo e unico di abortire eventuali embrioni soprannumerari, prima della ventesima settimana di gestazione.

Il testamento biologico:

Se poi alla surrogante dovesse capitare una fatalità, è inutile che abbia fatto testamento biologico. I compratori saranno gli unici ad avere voce in capitolo per tenere in vita la donna, eventualmente legata a una macchina salva-vita, qualora la gravidanza fosse nel secondo o terzo trimestre, per tutto il tempo necessario a raggiungere la vitalità del feto, tenendo conto del miglior interesse e del benessere del bambino. Il marito della surrogante, o un suo parente prossimo, avranno voce in capitolo per il distacco dei macchinari o altri interventi sulla paziente, solo dopo la nascita del bambino.

Sanzioni:

Infine sono ben evidenziate le sanzioni per la surrogante che viola il patto: 

  • obbligo di restituzione dei pagamenti ricevuti e rinuncia a quelli da ricevere;
  • responsabilità per i danni derivanti dalla violazione dell’accordo;
  • obbligo di risarcimento – salvo il maggior danno – dei costi della fecondazione artificiale, le commissioni dell’agenzia intermediaria, gli onorari del procuratore, i farmaci, le spese di viaggio;
  • saranno inoltre a suo carico la cura e i costi da sostenere per il bambino nato contro la volontà dei compratori, fino a che non abbia compiuto 18 anni.

 

In affitto o in comodato cambia poco

La surrogazione di maternità, indipendentemente dalle modalità con cui avviene e dalla pattuizione di un compenso, realizza di fatto la "reificazione" tanto della donna quanto del bambino, anche qualora sia attuata con fine "altruistico". Reificare significa “trasformare in una cosa”, in un oggetto, ciò che evidentemente, per sua natura, oggetto non è. Che le donne non possano essere trattate da "incubatrici", e che i figli non possano essere oggetto di compravendita e nemmeno di "donazione", dovrebbe essere dunque un principio palese, e da tutti unanimemente riconosciuto. L’ipotesi di donare il proprio figlio di cinque o dieci anni, probabilmente, non sarebbe concepibile per nessuna persona sana di mente. Invece, stranamente, come oggi si ritiene di poter disporre perfino della vita di un bambino prima della nascita, mediante l’aborto, così subito dopo la nascita alcuni lo considerano un bene che può entrare a far parte di un accordo privato fra due contraenti.

Qual è la differenza tra l’affitto dell’utero di una donna al fine di ottenerne il frutto, e il suo utilizzo in comodato, ossia gratuito? Innanzitutto è bene sgombrare il campo dagli equivoci: una surrogazione di maternità completamente gratuita, come osserva Adeline Allen nel suo saggio (indicato in bibliografia), praticamente non esiste. Anche laddove non si stabilisca un prezzo per la "prestazione" della surrogante, è sempre previsto un "rimborso spese" per i costi che ogni gravidanza porta con sé. Di fatto, poi, in entrambe le ipotesi un bambino è trasferito a chi non lo ha concepito (in alcuni casi), né lo ha portato in grembo (in ogni caso), per rispondere al desiderio di diventare genitori di persone che non possono (o non vogliono) far nascere un bambino, e non sono disposti, o non sono adatti, ad adottare un orfano.

 

L’inganno dell’altruismo

Alla luce di quanto detto si capisce che il fine "altruistico", laddove sia soggettivamente presente (ovvero nelle intenzioni di chi opera), non si traduce mai "oggettivamente", ossia nella realtà di una prassi del genere. Innanzitutto perché si tratterebbe di altruismo "a senso unico", per soddisfare un desiderio di aspiranti genitori e non nell’interesse del bambino, il quale ha solo da perdere in una situazione simile:

  • alla nascita, per lo stress psico-fisico dovuto alla separazione dalla madre che lo ha partorito e con la quale si era instaurato, durante la gravidanza, il fondamentale rapporto di cross-talk in virtù del quale madre e figlio si scambiano segnali biochimici sin dal concepimento (stress che avrà ripercussioni sulla crescita del bambino);
  • dall’età di ragione, a causa della "frammentazione" identitaria che può colpire chi non è in grado di ricondurre a unità la propria esistenza ma percepisce di essere il risultato di un progetto che prevedeva sin dall’inizio il suo "assemblaggio" con materiale biologico anonimo, l’abbandono da parte della madre subito dopo il parto e "l’acquisto" da parte di genitori/committenti.
  • in ogni caso, a causa della lesione della sua dignità di persona, per essere stato trasformato nell'oggetto da trasferire in un rapporto contrattuale tra privati. 

Infine è giusto il caso di ricordare, data la campagna mediatico-culturale di "normalizzazione" in corso, il danno aggiuntivo subìto dai bambini commissionati da coppie omosessuali, destinati a crescere, a seconda dei casi, senza la figura materna o paterna; perdipiù nell'ambito di una "famiglia" che, secondo l'ordine naturale, non potrebbe neanche venire a esistenza.

manifesto contro l'utero in affittomanifesto contro la fecondazione eterologa

A tutto ciò si aggiungano anche le considerazioni relative all’impiego, di fatto imprescindibile in ogni caso per ottenere la gravidanza, della fecondazione artificiale. Una procedura notoriamente pericolosa per la salute della donna, intrinsecamente mortifera per molti degli embrioni prodotti, nonché potenzialmente foriera di problemi di salute per il bambino che nascerà tramite il suo utilizzo (per approfondire l’argomento della fecondazione assistita rimandiamo all’articolo dedicato).

 

All’origine della maternità surrogata: il diritto al figlio

In realtà, la causa di giustificazione della procedura di surrogazione di maternità, sarebbe costituita da un ipotetico "diritto alla filiazione". Si badi, "alla filiazione" e non "alla procreazione": la differenza è abissale. Il diritto alla procreazione costituisce un diritto naturale e incomprimibile dell’uomo (si pensi alla gravità di quelle leggi che impongono alle famiglie un limite per il numero di figli). Il diritto di filiazione (o "diritto al figlio") non esiste, essendo l’arrivo di un figlio un evento imponderabile e legato a condizioni rigorosamente biologiche, per la filiazione naturale, nonché psicologiche ed economico-sociali per quella adottiva.

Come spiega bene Aldo Vitale, in un intervento sulla rivista Notizie Pro Vita, «un "diritto al figlio" non è configurabile, altrimenti si introdurrebbero delle gravissime distorsioni nel tessuto del diritto per almeno due ordini di ragioni. In primo luogo, ritenere esistente un tale diritto dovrebbe comportare l’individuazione o l’individuabilità dei soggetti nei confronti dei quali un tale diritto possa essere fatto valere: il coniuge, la società, lo Stato? Verso chi si dovrebbe reclamare un tale diritto? E con quali mezzi? Anche coercitivi? In secondo luogo, se tale diritto fosse davvero ipotizzabile, il suo contenuto, ovvero il suo oggetto, sarebbe il figlio stesso, violando però così il suo status giuridico di "soggetto di diritto", in quanto persona, e non di "oggetto di diritti"».

 

La conoscenza delle proprie origini e la lacerazione della famiglia

Il Comitato Nazionale per la Bioetica, con un parere del 25 novembre 2011 intitolato Conoscere le proprie origini biologiche nella procreazione medicalmente assistita eterologa, dichiara che «lo Stato non ha il diritto e non dovrebbe mai avere il potere di precludere l’accesso alla verità non solo ai propri cittadini, ma a qualsiasi essere umano, in particolare quando questa verità ha per oggetto l’identità personale». Conclude Aldo Vitale: «Esplode insomma in tutta la sua tragicità la contraddittorietà etica e giuridica della maternità surrogata che, rendendo diffuso, duplicando e perfino moltiplicando il ruolo materno, dilacera l’identità della madre e dunque strappa il tessuto relazionale del diritto, divenendo non già fonte di giustizia, ma di ingiustizia e, come tale, palesandosi come prassi bio-medica congenitamente anti-giuridica». 

 

L’utero in affitto in Italia: cosa dicono la legge e la giurisprudenza

La recente diffusione del ricorso alla maternità surrogata da parte di coppie italiane che si recano all’estero al fine di aggirare il divieto di legge, potrebbe contribuire a oscurare, forse, il ricordo di questo stesso divieto agli occhi del cittadino comune, insieme alla considerazione della sua gravità. Ricordiamo perciò che, nel nostro ordinamento giuridico, la legge n. 40/2004, Norme in materia di procreazione medicalmente assistitavieta espressamente la surrogazione di maternità (articolo 12 commi 1 e 2) e qualsiasi realizzazione, organizzazione o pubblicizzazione di tale pratica, punita con la reclusione tra tre mesi a due anni e la multa da 600.000,00 a un milione di euro (comma 6). 

La sentenza della Corte Costituzionale 272/2017, non manca di ricordare quanto sia rilevante, per la valutazione giudiziaria dei casi inerenti al tema in questione, «la considerazione dell’elevato grado di disvalore che il nostro ordinamento riconnette alla surrogazione di maternità, vietata da apposita disposizione penale»; precisando che «non si vede conseguentemente perché […] il giudice non debba valutare: […] se l’interesse alla verità abbia anche natura pubblica (ad esempio perché relativa a pratiche vietate dalla legge, quale è la maternità surrogata, che offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane) ed imponga di tutelare l’interesse del minore nei limiti consentiti da tale verità». Tuttavia nonostante l’impostazione di fondo, che sottolinea la contrarietà di detta pratica all’ordine etico-giuridico, la citata sentenza apre anche a un riconoscimento della genitorialità legale sulla base di un bilanciamento di alcune «variabili». «Tra queste», è scritto nel documento, «oltre alla durata del rapporto instauratosi col minore e quindi alla condizione identitaria già da esso acquisita, non possono non assumere oggi particolare rilevanza, da un lato le modalità del concepimento e della gestazione e, dall’altro, la presenza di strumenti legali che consentano la costituzione di un legame giuridico col genitore contestato». Un passaggio, quest’ultimo, non proprio cristallino, che rischia di suscitare interpretazioni giurisdizionali del dato normativo ancora più discordanti.

La VI Sezione Penale della Corte di Cassazione, con sentenza n. 2173/2019, dichiara che «la L. n. 184 del 1983, art. 71, comma 1 punisce con la reclusione da uno a tre anni chiunque, in violazione delle norme di legge in materia di adozione, affida a terzi con carattere definitivo un minore, ovvero lo avvia all'estero perché sia definitivamente affidato, senza ulteriori condizioni ai fini della integrazione del reato». La Corte specifica dunque che «solo per chi riceve il minore in illecito affidamento, con il carattere della definitività e quindi della tendenziale stabilità, la norma richiede ai fini della integrazione del reato che vi sia stato il pagamento di un corrispettivo economico o di altra utilità, non essendo tale elemento, invece, necessario per l'integrazione del delitto previsto per colui che ceda il minore o comunque si ingerisca nella sua consegna, essendo previsto anche un aggravamento della pena nel caso in cui il fatto sia commesso dal genitore».

La Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza 12193/2019, dichiarano che «non può essere trascritto nei registri dello stato civile italiano il provvedimento di un giudice straniero con cui è stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero mediante il ricorso alla maternità surrogata e un soggetto che non abbia con lo stesso alcun rapporto biologico, il cosiddetto genitore d’intenzione».

 

 

Fonti e Bibliografia essenziale:

Comitato Nazionale per la BioeticaConoscere le proprie origini biologiche nella procreazione medicalmente assistita eterologa, Parere del 25 novembre 2011;

Alison J. DouglasMother-offspring dialogue in early pregnancy: impact of adverse environment on pregnancy maintenance and neurobiology, in Progress in Neuro-Psychopharmacology and Biological Psychiatry,Volume 35 – Issue 5,Elsevier Inc., 2011;

Giovanna ArminioL’utero in affitto: riflessioni critiche, in Notizie Pro Vita n. 37, Speciale Utero in affitto: Il mercato di donne e bambini tollerato dalla “società civile”, Gennaio 2016;

Aldo Rocco VitaleL’utero in affitto come problema bio-giuridico, in Notizie Pro Vita n. 37, Speciale Utero in affitto: Il mercato di donne e bambini tollerato dalla “società civile”, Gennaio 2016;

Stefano RodotàUtero affittasi, articolo pubblicato su Panorama il 5/11/1986;

Enrica Perucchietti Utero in affitto, la fabbricazione dei bambini, la nuova forma di schiavismo, rEvoluzione Edizioni, 2016;

Jennifer LahlEggsploitation, Documentario a cura di The Center for Bioethics and Culture Network, 2010;

Jennifer LahlBreeders – Donne di seconda categoria, Documentario a cura di The Center for Bioethics and Culture Network, 2014;

Nils J. Bergman, The neuroscience of birth and the case for Zero Separation, Publimed – National Center for Biotechnology Information, 2014;

Adeline A. AllenSurrogacy and Limitations to Freedom of Contract: Toward Being More Fully Human, Harvard Journal of Law & Public Policy, 2018;

Ibone OlzaSi quieres ser padre o madre por gestación subrogada necesitas esta información, (articolo pubblicato in spagnolo e inglese sul sito Stop Surrogacy Now, e presentato in italiano a cura della nostra Redazione), 17/04/2018.

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