05/03/2021 di Giuliano Guzzo

Sanremo. Amadeus no, Achille Lauro sì. Doppiopesismo religioso all’Ariston

Amadeus no, Achille Lauro sì. Tra una canzone e l’altra, sul palco del festival di Sanremo è andato in scena, durante la prima serata di martedì scorso – anche forse non tutti se ci hanno fatto caso - un singolare caso di doppiopesismo religioso, con il conduttore e l’artista romano trattati con due pesi e due misure clamorosamente diversi.

Infatti, per il solo fatto d’essersi fatto il segno della croce all’inizio della prima serata, Amadeus ha fatto infuriare un bel po’ di gente. E non solo sui social, dove ormai basta un nonnulla per sollevare un polverone, ma anche fuori, come provano le dichiarazioni a mezzo stampa di esponenti dell’Uaar, l’Unione atei agnostici razionalisti («gesto davvero poco opportuno»), e del Co-Mai, Comunità del mondo Arabo in Italia («tra il pubblico anche laici, atei, ebrei, musulmani»).

Non manca chi notato come quello del conduttore potesse essere – al pari di quello di tanti calciatori prima di fare il loro ingresso in campo – un gesto quasi più scaramantico che religioso in senso stretto; ciò nonostante, il segno della croce è parso troppo sconveniente e, come si diceva, Amadeus è stato bacchettato da più parti come autore di una ingerenza cattolica in un terreno artistico laico, di tutti.

Curiosamente, però, gli stessi rilievi non sono stai mossi all’indirizzo di Achille Lauro, il quale è stato protagonista di una perfomance che lo ha visto travestito con palesi riferimenti alle statue della Madonna e alle lacrimazioni prodigiose. Non solo. Lo stesso testo del brano dell’artista, intitolato Solo Noi, contiene assonanze in qualche modo religiose: «E noi/ Senza un’anima, senza umanità/ Solo noi/ Immoralità, bipolarità/ Solo noi/ Mezza manica, senza dignità/ Solo noi […] Salvami te/ Salvami te/ Salvami te/ Salvami te/ Oh no, salvami te».

Non si tratta neppure della prima volta dato che pure lo scorso anno, nel brano di Lauro, Me ne frego, c’era un chiaro riferimento religioso: «O mio Dio». Tornado ad oggi, che il cantante romano abbia una sorta di rapporto complesso e morboso con la religione è provato da com’è ritratto sulla copertina dell’ultimo numero di Vanity Fair dove, con la scritta «Non sono un santo», risulta truccato in un modo che ricorda molto una scimmiottatura della Madonna.

Ora, come mai se Amadeus si fa un semplice e furtivo segno della croce diventa subito un problema – se non addirittura una minaccia per la laicità -, mentre invece se Lauro sbeffeggia milioni di credenti (il suo look sanremese di quest’anno è riuscito a far arrabbiare perfino Famiglia Cristiana, ed è tutto dire), va tutto bene e né gli atei né qualche comunità mussulmana ha nulla da ridire? Si tratta, com’è evidente, di un caso di doppiopesismo religioso.

Un doppiopesismo che sostanzialmente si traduce in un contenuto discriminatorio tale per cui non è la religione, in realtà, ad essere un problema ma solo una religione in particolare: quella cristiana. In tutti gli altri casi, dalle fedi prevalenti in Paesi estere alle performance blasfeme, va tutto bene. Ma la cara, vecchia esibizione di fede cattolica no, quella è imperdonabile ingerenza. Quella soltanto. In tutti gli altri casi, invece la laicità è sana e salva. Anche si tratta della stessa laicità della quale, come fior di pensatori hanno ampiamente dimostrato, senza il cristianesimo e l’evangelico «date a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio quello che è di Dio» non avremmo probabilmente mai neppure sentito parlare.

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