04/09/2021 di Giuliano Guzzo

Paralimpiadi Tokyo 2020. Vince la vita, sempre degna di essere vissuta

I XVI Giochi Paralimpici di Tokyo sono ormai agli sgoccioli – domani la cerimonia di chiusura - motivo per cui, benché qualche medaglia sia ancora in ballo, un bilancio di questa straordinaria manifestazione sportiva può già essere tracciato.

Un bilancio che, anzitutto, riguarda l’Italia e i suoi grandi successi. Sì, perché il nostro Paese ha già in cassaforte ben 65 medaglie, il che significa che i nostri atleti hanno saputo fare meglio di quanto fecero cinque anni fa a Rio de Janeiro, dove i podi azzurri erano stati 39 e soprattutto hanno superato il record di Seul 1988.

La delegazione di 113 atleti capeggiata da Luca Pancalli, presidente del Comitato italiano paralimpico, va insomma ringraziata per il superbo risultato sportivo raggiunto.

Detto questo, però, c’è anche un versante dei Giochi Paralimpici che non interessa solo l’Italia e, a ben vedere, neppure solo il lato prettamente agonistico: è quello del messaggio o, meglio, dei messaggi che un simile evento testimonia. I più significativi sono almeno un paio. Il primo concerne la capacità socialmente inclusiva dello sport, ben sottolineata in una recente e toccante intervista rilasciata dalla nota atleta paralimpica Giusy Versace al sito Interris.it.

«La Paralimpiade», ha dichiarato l’atleta – che, come noto, è pure scrittrice, ballerina, conduttrice televisiva e politica -, «ha questo grande potere: quello di mostrare alla società i suoi protagonisti non solo come persone disabili, ma come dei veri atleti, alla pari di tutti gli altri. Lo sport ha il grande merito, tra i tanti, di creare inclusione. E’ in grado di portare speranza lì dove c’era solo disperazione. Non solo fa bene al fisico e alla mente di chi lo pratica; non solo aiuta a superare i propri limiti (qualunque essi siano) e ad avere maggior autostima in se stessi; ma è anche in grado in modo sorprendente di unire le persone».

Che dire: le parole della Versace sono bellissime e, soprattutto, molto vere. In una società dove la parola «inclusione» è spesso ripetuta come una formula vuota, quasi come un termine magico, che riesce sempre a rendere un discorso più condivisibile – anche quando i suoi contenuti sono opinabili -, i Giochi Paralimpici sono quanto di più realmente inclusivo si possa pensare; da questo punto di vista, oltre che un evento sportivo essi rappresentano anche una lezione.

Quest’ultima considerazione ci consente di proseguire nell’esporre quello che è il secondo messaggio della manifestazione sportiva che si sta concludendo in Giappone, che a differenza del precedente non è sociale bensì antropologico. Il messaggio è il seguente: la vita umana conta e supera ogni barriera. Anche quando la barriera è permanente e fisica, anche quando il sentimento più immediato e istintivo sarebbe la rassegnazione oppure limitarsi a ricevere una compassione ipocrita. Torna in tal proposito alla memoria un fatto accaduto alcuni anni fa.

Era infatti il maggio 2016 quando circolò la notizia di un surreale annuncio di un casting per una fiction Rai: «Cercasi un attore 15/18 anni nano o con altra disabilità che trasmetta tenerezza». C’era scritto proprio così: «Che trasmetta tenerezza». L’autrice di quel programma venne licenziata ma quel fatto, a ben vedere, fu istruttivo, nel senso che tanti, troppi, guardano alle persone disabili provando «tenerezza». Che non è, ovviamente, un sentimento sbagliato, nella misura in cui viene vissuto nei confronti di tutti, mentre diventa molto offensivo se diviene una sorta di malcelato senso di superiorità.

Ecco, ad una società dove sempre più spesso le persone con disabilità vengono abortite oppure guardante con «tenerezza», i Giochi Paralimpici di Tokyo contrappongono un’antropologia autentica, che esalta la vita e che fa capire come non solo gli atleti in gara ma tutti quanti siano affetti da una forma di menomazione o difficoltà devono essere guardati solo in un modo: con umanità. Persone umane dotate di dignità incomparabile, questo perché, da come vengono considerate, non dipende solo l’umanità loro ma pure, se non soprattutto, la nostra.

 

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