12/06/2016

Obiezione di coscienza sindaci - La Consulta si è già espressa

I sindaci e gli altri soggetti coinvolti nella celebrazione delle unioni civili hanno diritto all’obiezione di coscienza. La legge Cirinnà è incostituzionale (anche) perché non fa menzione di tale diritto.

L’obiezione di coscienza, infatti, è un diritto fondamentale dell’uomo. Uno di quelli “veri”, quelli che esistono da sempre, perché sono iscritti nella legge naturale.

Basta pensare ad Antigone, che sentiva di dover ubbidire alla legge degli dei, prima che a quella dello Stato, già nel V secolo a. C.

Torniamo sulla questione, visto che oggi la dittatura del pensiero unico, infarcito di positivismo giuridico, come vuole ogni totalitarismo, mette in discussione il sacrosanto diritto all’obiezione di coscienza.

Proseguiamo quanto abbiamo scritto qui, per porgere in modo più sintetico e semplificato ai nostri Lettori l’ottima dissertazione tecnica-giuridica in difesa del diritto all’obiezione di coscienza dei sindaci alla legge Cirinnà, pubblicata dal Centro Studi Livatino. Il documento originale, estremamente rigoroso, stringente e ampiamente fondato sulle norme e sulla giusrispudenza della Corte Costituzionale, si può leggere qui.

E’ proprio la motivazione della Consulta, quando discettava di obiezione di coscienza al servizio militare, che merita d’esser meditata, a corollario e conferma di quanto si è fin qui sostenuto.

La Corte Costituzionale con la sentenza n. 467 del 1991,  a proposito dell’obiezione di coscienza al servizio militare (allora obbligatorio) scriveva: «A livello dei valori costituzionali, la protezione della coscienza individuale si ricava dalla tutela delle libertà fondamentali e dei diritti inviolabili riconosciuti e garantiti all’uomo come singolo, ai sensi dell’art. 2 della Costituzione, dal momento che non può darsi una piena ed effettiva garanzia di questi ultimi senza che sia stabilita una correlativa protezione costituzionale di quella relazione intima e privilegiata dell’uomo con se stesso che di quelli costituisce la base spirituale-culturale e il fondamento di valore etico-giuridico.
In altri termini, poiché la coscienza individuale ha rilievo costituzionale quale principio creativo che rende possibile la realtà delle libertà fondamentali dell’uomo e quale regno delle virtualità di espressione dei diritti inviolabili del singolo nella vita di relazione, essa gode di una protezione costituzionale commisurata alla necessità che quelle libertà e quei diritti non risultino irragionevolmente compressi nelle loro possibilità di manifestazione e di svolgimento a causa di preclusioni o di impedimenti ingiustificatamente posti alle potenzialità di determinazione della coscienza medesima.
Di qui deriva che – quando sia ragionevolmente necessaria rispetto al fine della garanzia del nucleo essenziale di uno o più diritti inviolabili dell’uomo, quale, ad esempio, la libertà di manifestazione dei propri convincimenti morali o filosofici (art. 21 della Costituzione) o della propria fede religiosa (art. 19 della Costituzione) la sfera intima della coscienza individuale deve esser considerata come il riflesso giuridico più profondo dell’idea universale della dignità della persona umana che circonda quei diritti, riflesso giuridico che, nelle sue determinazioni conformi a quell’idea essenziale, esige una tutela equivalente a quella accordata ai menzionati diritti, vale a dire una tutela proporzionata alla priorità assoluta e al carattere fondante ad essi riconosciuti nella scala dei valori espressa dalla Costituzione italiana.
Sotto tale profilo, se pure a seguito di una delicata opera del legislatore diretta a bilanciarla con contrastanti doveri o beni di rilievo costituzionale e a graduarne le possibilità di realizzazione in modo da non arrecar pregiudizio al buon funzionamento delle strutture organizzative e dei servizi d’interesse generale, la sfera di potenzialità giuridiche della coscienza individuale rappresenta, in relazione a precisi contenuti espressivi del suo nucleo essenziale, un valore costituzionale così elevato da giustificare la previsione di esenzioni privilegiate dall’assolvimento di doveri pubblici qualificati dalla Costituzione come inderogabili (c.d. obiezione di coscienza)».

Commenta il dott. Giacomo Rocchi, magistrato di Cassazione, che  tutto ciò pare perfettamente coerente con il caso dell’obiezione di coscienza alla celebrazione delle unioni civili da parte dei sindaci e degli altri cittadini coinvolti.

Da una parte la Corte Costituzionale riconosce che il valore costituzionale della coscienza è così elevato da esimere dall’assolvimento dei doveri pubblici; dall’altra aggiunge che il legislatore deve garantire “il buon funzionamento delle strutture organizzative e dei servizi di interesse generale”.

Quindi si può sostenere che – a legislazione vigente – il Sindaco può essere esentato da quel dovere pubblico purché non impedisca il funzionamento del servizio comunale; se così venisse riconosciuto non vi sarebbe la necessità di riconoscere esplicitamente con una legge l’obiezione di coscienza dei Sindaci; di conseguenza, i decreti attuativi potrebbero esplicitare quello che è già permesso: avrà l’ardire il nostro Ministero degli Interni, che deve emanare detti decreti attuativi, di sbilanciarsi su una questione del genere? Non c’è da sperarlo, visti i “cattolici” che vi bazzicano.

E’ comunque sostenibile di principio l’illegittimità costituzionale della legge sulle unioni civili nella misura in cui non permette l’obiezione di coscienza dei sindaci, anche perché, come abbiamo visto, il tema riguarda non solo i Sindaci, ma anche altre categorie di impiegati e cittadini.

Redazione


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