06/12/2019

Nasce il primo figlio da “gravidanza condivisa”. Ma il padre dov’è?

In Inghilterra, le “conquiste” dell’omogenitorialità compiono un ulteriore passo avanti. Risale a un paio di mesi fa, la prima nascita per “incubazione” nell’ambito di una coppia lesbica: una delle due donne ha “incubato” nel suo utero per 18 ore l’embrione concepito in provetta, che poi è stato impiantato nell’utero della compagna.

Protagoniste di questo ennesimo “ircocervo” bioetico sono l’infermiera 28enne Jasmine Francis-Smith, che ha portato avanti la gravidanza, e sua moglie Donna, 30 anni, ufficiale dell’esercito, che ha fornito l’ovulo. L’ovodonazione tra coppie lesbiche è una tecnica in uso ormai da qualche anno.

La London Women Clinics, dove il piccolo Otis è nato, fa leva su un tipo di fecondazione artificiale “in vivo”, sviluppata dall’azienda svizzera Anecova. La procedura ordinaria consiste nella conservazione degli embrioni in laboratorio all’interno di colture extracorporee, cui segue, al secondo o al terzo giorno, l’impianto in utero degli embrioni più vitali. In questo modo, viene simulata una condizione simile a quella di un utero naturale, cui l’embrione potrà abituarsi fin dalle prime ore.

La vera novità, però, è un’altra. Il procedimento utilizzato presso la London Women Clinics, nel caso di Jasmine e Donna, pone gli ovuli fertilizzati in una capsula in miniatura che viene inserita nell’utero, accrescendo la probabilità di riuscita della fecondazione. Nel suo caso specifico, Donna ha “incubato” l’embrione per circa 18 ore. Secondo quanto riferito dal direttore scientifico della clinica, Kamal Ahuja, si tratta della «prima nascita al mondo tramite maternità condivisa». Da parte loro, le due donne coinvolte nell’esperimento hanno dichiarato di aver provato un coinvolgimento emotivo particolarmente elevato in questa anomala maternità.

Sia i media britannici (BBC e The Telegraph), che il Corriere della Sera (prima testata italiana a riprendere la notizia), hanno usato le espressioni «gravidanza condivisa» e «maternità condivisa». Il Corriere è arrivato addirittura a titolare che il piccolo Otis avrebbe «due madri biologiche», come se effettivamente il bambino avesse il dna di entrambe le donne. Il che rappresenterebbe una novità clamorosa. Rimane una domanda di fondo, che né la coppia, né i medici, né i giornali hanno sollevato: chi è il padre di Otis e che ruolo ha avuto e avrà in questa vicenda? Il destino dei figli di coppie gay o lesbiche sarà sempre lo stesso: non hanno una madre o un padre in più, in compenso hanno una madre o un padre che, molto probabilmente non conosceranno mai.

 

di Jacopo Coghe

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