26/07/2016

Matrimonio gay nella sostanza, unioni civili nella forma

Centro Studi Rosario Livatino ha postato un commento tecnico ineccepibile a proposito del decreto attuativo della legge sulle unioni civili: si tratta sempre e comunque di matrimonio gay, sostanzialmente.

Nonostante le “capriole” del governo e dei giudici amministrativi.

Spiegano i giuristi in questione che i decreti attuativi delle leggi sono normalmente due. Quello immediato (di cui stiamo parlando) che potremmo definire “provvisorio”, per rendere applicabile la legge nell’immediato, e quello definitivo, da emanare entro 6 mesi, che disporrà nel dettaglio ogni particolare necessario.

Nel caso della legge Cirinnà, sulle unioni civili, il decreto provvisorio è stato emanato con qualche giorno di ritardo ed è stato vagliato dal Consiglio di Stato.

I giudici amministrativi si sono pronunciati l’8 luglio scorso.

Innanzi tutto hanno varcato la soglia della loro competenza: non potevano aggiungere alcunché alla legge in questione. Invece  hanno qualificato «l’unione civile fra persone dello stesso sesso –  a p. 10 – quale “diritto fondamentale e assoluto della coppia omosessuale”: qualifica non necessaria per dare attuazione alle norme primarie, in questi termini non rintracciabile neanche nelle stesse (che pure sono pessime)».

Proseguono i giuristi del CSL: «Sono interessanti due passaggi, oltre il dettaglio tecnico che non incide sulla sostanza:

il primo riguarda i margini riconosciuti al sindaco (p. 10). Se costui intende evitare per ragioni di coscienza di registrare una unione può delegare, come già accade per la celebrazione dei matrimoni.... Il delegato, a sua volta, potrà chiedere di essere esonerato e la delega ben può essere conferita ad altri.

Il secondo riguarda la dichiarata non equiparabilità dell’unione civile al matrimonio (p. 8). Poiché la partita in questo momento si gioca a sovrapporre soprattutto nei dettagli esteriori l’unione civile al matrimonio, il Consiglio di Stato dice implicitamente ma senza equivoci che il sindaco, oltre a delegare ad altri – se lo ritiene – il compito di procedere alla registrazione, può fare dell’altro. Per es., distinguere il luogo della registrazione da quello del matrimonio; ovvero disporre che il delegato non indossi la fascia tricolore. Vi è obbligo di adoperare quest’ultima, in base all’art. 70 dell’ordinamento dello stato civile, se si celebra il matrimonio, e tale obbligo riguarda genericamente “l’ufficiale dello stato civile”, quindi sindaco e consigliere o funzionario delegati. Se però – come ci è stato detto durante la discussione in Parlamento – matrimonio e unione civile sono due cose distinte, l’assenza di una disposizione specifica in tal senso permette al sindaco di precludere l’uso della fascia al delegato».

Si tratta di questioni squisitamente formali.

«E’ ben poca cosa rispetto al mutamento radicale e sostanziale introdotto; è più che fondato sostenere che il passaggio dall’etichetta unione civile a quella matrimonio sia solo questione di tempo. Ma poiché ogni giorno ha il suo affanno, interessarsi oggi di quelli che appaiono dettagli – dopo i temi ben più pesanti affrontati al momento dell’esame della riforma – è quello che è dato fare, avendo chiare le proporzioni. E’ evidente che la battaglia culturale e politica per riconoscere a matrimonio e famiglia questi dettagli deve continuare con attenzione prioritaria alla sostanza e con vigore ancora più forte».

Vorremmo aggiungere solo un dettaglio che attiene alla morale (non tanto al diritto). Chi compie un’azione immorale indirettamente, attraverso un soggetto incaricato, ne resta comunque moralmente responsabile: insomma, il mandante non è meno omicida del killer di professione.

Perciò non ci stupirebbe che qualcuno dei sindaci che sollevano obiezione di coscienza alle unioni civili, si rifiutino anche di delegare dei sottoposti. Questa sarebbe vera prova di coerenza.

Redazione

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