29/11/2017

“Matrimoni” gay e il potere della Corte di Giustizia UE

Ci troviamo nuovamente di fronte a un caso che tocca nel profondo l’essenza stessa del Matrimonio. In quanto matris munus, ossia il “compito di essere madre”, il Matrimonio dovrebbe per definizione sigillare il rapporto responsabile e fedele di un uomo ed una donna, dal momento che esso è l’unico tipo al mondo di unione atta, per natura, alla procreazione.

Pertanto la famiglia naturale, essendo il primo, unico ed insostituibile fondamento della società, andrebbe semplicemente tutelata dalle leggi degli Stati che, senza mai alterarne i caratteri, dovrebbero preoccuparsi di curarne al massimo gli interessi.

Ebbene, un articolo di ADF International, ci parla del ruolo che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea potrebbe ricoprire in materia di “Matrimoni” gay e della loro (falsa) pretesa di portare una ventata di (presunto) progresso.

Nel 2010, la coppia gay rumena formata da Adrian Coman e Robert Claibourn Hamilton, ha ottenuto un certificato di matrimonio in Belgio. Quando, rientrata in Romania, la coppia non fu riconosciuta come sposata, dato che la legge nazionale non prevede “matrimoni” gay, si è ritenuta violata nel diritto alla libera circolazione all’interno dell’UE.

Nel 2016, la Corte Costituzionale rumena ha sottoposto la questione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) chiedendole il suo responso a riguardo (che a breve sarà manifesto).

Una presa di posizione della CGUE sulle unioni gay potrebbe rivelarsi una minaccia per la sovranità dei membri dell’UE in materia di famiglia e matrimonio. Infatti l’UE potrebbe cercare di costringere gli Stati a riconoscere i “matrimoni” gay, stabiliti in qualsiasi Stato membro, indipendentemente dalla loro legislazione nazionale.

Come afferma giustamente Adina Portaru, consulente legale di ADF International, molti paesi europei riconoscono e proteggono il matrimonio come unione tra un uomo e una donna nelle loro leggi e costituzioni, come è loro diritto. Secondo i trattati dell’UE, fondati sul principio di sussidiarietà,  gli stati membri devono rimanere liberi di affermare che una madre e un padre sono entrambi essenziali nella vita di un bambino.

Dunque, un giudizio della corte a favore dei “matrimoni” gay non si limiterebbe unicamente a danneggiare gli interessi della famiglia naturale ma andrebbe a violare la sovranità e l’indipendenza degli stati membri della UE. Non solo: se la più alta corte dell’Unione europea dovesse contraddire gli ordinamenti giuridici di buona metà degli stati membri – che riconoscono il matrimonio come unione tra un uomo e una donna – ne nascerebbe un conflitto di norme senza precedenti. Creerebbe caos legale e divisione, non più armonizzazione.

Ma una Corte, o una legge positiva, quindi umana, può mai avere il potere di ridefinire ciò che la stessa natura ha posto in termini ben precisi?

Luca Scalise


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